Non c'è paragone fra la tanta popolarità di cui la storia di don Riccardo Ceccobelli ha goduto nei giorni scorsi sui media italiani, compreso ovviamente l'ambiente digitale, e la poca popolarità che essa ha incontrato nell'infosfera ecclesiale, limitatasi in qualche caso a riprendere le «precisazioni a viso aperto» ( bit.ly/3snjpfk ) rilasciate dall'ufficio Comunicazioni sociali della diocesi di appartenenza, Orvieto-Todi, il 14 aprile, in risposta a quell'onda di popolarità. La storia, come narrata due giorni prima sullo stesso sito diocesano ( bit.ly/3tmgwN7 ), è quella di un presbitero di 42 anni che, seguendo la corretta procedura canonica, ha deciso di lasciare il ministero a motivo del sentimento che prova per una giovane donna. A dare la misura di tale popolarità cito due post sul profilo Facebook del giornalista televisivo Salvo Sottile ( bit.ly/2OVwpLM ), che, a distanza di qualche giorno l'uno dall'altro, per aver accennato alla storia e condiviso due dei tanti articoli che l'hanno riportata hanno riscosso complessivamente oltre diecimila like e quasi tremila empatici commenti: sono stati tra i post più graditi, questa settimana, dai fan di Sottile. Eppure, da un certo punto di vista – quello della Chiesa, intesa non solo come istituzione ma in quanto popolo di Dio – si fa fatica a riconoscere dove stia la notizia. Sono cose che in genere succedono senza clamore mediatico, a meno che non ci sia di mezzo qualche comportamento fuori dalle norme: e ripeto che non è il caso di questo prete. Par di capire – scorrendo i titoli di articoli e post – che ad attrarre l'attenzione sia stato il fatto che don Ceccobelli, sia domenica scorsa, in chiesa (accanto al suo vescovo e dopo che questi aveva informato i fedeli), sia nelle interviste del giorno dopo, abbia raccontato la sua vicenda con qualche tono da love-story. Rendendola, probabilmente suo malgrado, perfetta per quel mix di informazione e intrattenimento che viene chiamato l'infotainment.
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