Salgo sul tram numero 23, a Varsavia, capolinea di Ròwna. Per capire la capitale polacca bisogna andare al di là della Vistola. Case basse, androni scuri. Negozi di kebab in Stalowa Wola. Vecchio Est di mattonati grigi e marciapiedi sporchi. I vagoni avanzano caracollanti in Listopada. Bancarelle di scarpe. Voci di bambini. Il fantasma di Isaac Singer, cresciuto in via Krochmalna 10, quartiere povero, esiliato in America, torna a mostrarsi. Incredibilmente la sua New York di rosticcerie e cortile spogli in Upper West Side, solitudini oceaniche a Coney Island, sembra rinascere qui. La stessa Polonia, che il grande scrittore rievocò sulle rive dell’Hudson, ora vorrebbe assomigliare alla terra in cui lui fu costretto a emigrare per sfuggire al nazismo. Ma qualcosa sembra recalcitrare di fronte al trionfo occidentale. L’altarino sacro che qualche anima buona contribuisce a tenere in ordine nello spelacchiato giardino vicino ai binari, proprio di fronte alla pensilina dove i passeggeri sono seduti in attesa, è pieno di fiori freschi, bigliettini di preghiera e ringraziamenti. Così dal finestrino posteriore del tram numero 7 che mi sta riportando verso i grattacieli del centro, osservo l’ultimo pezzo di Novecento, come una goccia di pioggia in procinto di staccarsi dalla ringhiera.
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