Compare per un istante, ma in lui c'è qualcosa di così irresistibile da indurre Alessandro Manzoni a dedicargli un paragrafo intero. Il «vecchio mal vissuto», che sbraita nel mezzo dei disordini del giorno di San Martino, è «lui stesso uno spettacolo», si legge nel capitolo XIII dei Promessi Sposi: «spalancando due occhi affossati e infocati, contraendo le grinze a un sogghigno di compiacenza diabolica, con le mani alzate sopra una canizie vituperosa, agitava in aria un martello, una corda, quattro gran chiodi, con che diceva di volere attaccare il vicario a un battente della sua porta, ammazzato che fosse». Renzo prova vergogna davanti a quella manifestazione di ferocia, ma perfino su lui, «giovine pacifico e alieno dal sangue», la violenza esercita una fascinazione torbida e costante. Manzoni lo ha detto con chiarezza nel capitolo II, quando ha ribadito come i prepotenti non siano responsabili solo del male che compiono, ma anche di quello che le vittime, per reazione, sono tentate di compiere. Di questo «pervertimento» il vecchio mal vissuto offre un'immagine indelebile. Una comparsa macabra, della quale il lettore ricorderà il dettaglio della «canizie vituperosa». Non sempre i capelli bianchi sono indizio di saggezza. E questo, a volte, lo si capisce davvero al primo sguardo.
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