Che l'economia globalizzata abbia qualche cosa di sbagliato è un dato di cui tutti siamo ormai consapevoli – basta mettersi una mano in tasca – ma i numeri di questa realtà fanno davvero impressione. Secondo i dati dell'ultimo rapporto sulle disuguaglianze globali, pubblicato a gennaio da Oxfam alla vigilia dell'apertura del Forum economico mondiale di Davos, la ricchezza dei 1.900 miliardari censiti nell'ultima lista stilata dalla rivista Forbes è aumentata di 900 miliardi di dollari, ossia dell'1,2 per cento rispetto ai dodici mesi precedenti, mentre la condizione dei poveri è diminuita dell'11 per cento. Il patrimonio dei 26 più ricchi del mondo è pari a quello dei quasi 4 miliardi di più poveri, e se quest'anno l'1% dei più ricchi pagasse lo 0,5% in più di imposte sul patrimonio, si potrebbe salvare la vita a 100 milioni di persone e permettere a tutti i bambini di avere un'istruzione nel prossimo decennio.
Sono i numeri di quella che nella Evangelii Gaudium del 2013 papa Francesco, in continuità con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, definì senza mezzi termini «economia che uccide», che mette al centro di tutto il «dio denaro» e non si cura delle persone. E per questo oggi ha deciso di convocare i giovani economisti e gli imprenditori dei cinque continenti dal 26 al 28 marzo 2020 ad Assisi «un evento – ha scritto nella lettera di convocazione – che mi permetta di incontrare chi oggi si sta formando e sta iniziando a studiare e praticare una economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda». Con l'augurio che l'appuntamento «ci conduca a fare un “patto” per cambiare l'attuale economia e dare un'anima all'economia di domani». Perché è ormai indubbio che «occorre “ri-animare” l'economia», ossia restituirle un'anima; di qui la scelta di Assisi, dove san Francesco «si spogliò di ogni mondanità per scegliere Dio come stella polare della sua vita, facendosi povero con i poveri, fratello universale». Una «scelta di povertà» dalla quale «scaturì anche una visione dell'economia che resta attualissima», che possa dare speranza al nostro domani «a vantaggio non solo dei più poveri, ma della intera umanità».
Quello che bisogna fare è «correggere i modelli di crescita incapaci di garantire il rispetto dell'ambiente, l'accoglienza della vita, la cura della famiglia, l'equità sociale, la dignità dei lavoratori, i diritti delle generazioni future». Purtroppo «resta ancora inascoltato l'appello a prendere coscienza della gravità dei problemi e soprattutto a mettere in atto un modello economico nuovo, frutto di una cultura della comunione, basato sulla fraternità e sull'equità». E se «tutti siamo chiamati a rivedere i nostri schemi mentali e morali», l'invito è in particolare per le nuove generazioni, che sono «già profezia di un'economia attenta alla persona e all'ambiente», le cui realtà pulsanti «sono cantieri di speranza per costruire altri modi di intendere l'economia e il progresso, per combattere la cultura dello scarto, per dare voce a chi non ne ha, per proporre nuovi stili di vita». Perché «fino a quando il nostro sistema economico-sociale produrrà ancora una vittima e ci sarà una sola persona scartata, non ci potrà essere la festa della fraternità universale». Qualcosa che tutti dovremmo tenere a mente. Credenti e non.
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