giovedì 31 luglio 2008
XVIII Domenica
del Tempo Ordinario
Anno A

Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Vorrei tanto essere uno dei cinquemila, quella sera, sul lago. Li invidio, non per il miracolo dei pani, ma per la seduzione che hanno provato, più forte di ogni paura: sono andati da Gesù, ascoltano e vivono, ascoltano e brucia il cuore, ascoltano e risplende la vita. Stare con lui: e quando scende la sera, la notte e il deserto profumano di pane. Stare con lui: e sentire che più vivo di così non sarò mai.
I discepoli, uomini pratici, dicono a Gesù: «Congeda la folla, perché vadano a comprarsi da mangiare». Se non li congeda lui, non se ne andranno spontaneamente. Ma Gesù non li manda via, non ha mai mandato via nessuno. È bello questo preoccuparsi dei discepoli, ma più bello è Gesù che «prova compassione». Anzi, letteralmente, «preso alle viscere per loro» dice: «date loro voi stessi da mangiare». I discepoli parlano di comprare, Gesù parla di dare. Apre un altro modo di essere: dare senza calcolare, dare senza chiedere, generosamente, gratuitamente, per primi. A noi, che quotidianamente preghiamo: «Dacci oggi il nostro pane», il Signore risponde: «Voi date il vostro pane». «Dacci», noi invochiamo. «Donate», ribatte lui.
Ci sono molti miracoli in questo racconto: il primo è quello della folla che, scesa ormai la notte nel deserto, non se ne va e rimane con Gesù. Il secondo sono i cinque pani e i due pesci che qualcuno mette nelle sue mani, fidandosi, senza calcolare, senza trattenere qualcosa per sé. È poco, ma è tutta la sua cena. Terzo miracolo: è poco, eppure quel poco basta, secondo una misteriosa regola divina: quando il «mio» pane diventa il «nostro» pane, il dono è seme di miracolo. Infine il quarto: la sovrabbondanza, tipica di Dio: «raccolsero gli avanzi in dodici ceste». Una per ogni tribù, una per ogni mese. Tutti mangiano e ne rimane per tutti, e per sempre. E hanno valore anche gli avanzi, le briciole, il poco che sei, il poco che sai fare, il bicchiere d'acqua dato. Nulla è troppo piccolo di ciò che è donato con tutto il cuore.
L'unico merito che i cinquemila possono vantare, l'unico loro diritto al pane è la fame. Davanti a Dio mio vanto esclusivo è il bisogno. «Di nulla mi vanterò se non della mia debolezza» (2 Cor 12, 5). Davanti a Dio non c'è nulla di meglio che essere nulla, come l'aria davanti al sole, come il polline nel vento (Simone Weil), nutrendo così la nostra fame di sole e di pane, di cielo e di mani che conoscano il dono.
(Letture: Isaia 55,1-3; Salmo 144; Romani 8,33.37-39; Matteo 14,13-21)
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