La filosofa Simone Weil ricorda come nella prima leggenda del Santo Graal si affermi che il Graal, quella «pietra miracolosa che in virtù dell’ostia consacrata sazia ogni fame», apparterrà a chi, avvicinandosi a colui che custodisce la pietra, gli domanderà: «Qual è il tuo tormento?». Secondo Simone Weil, il pieno compimento dell’amore del prossimo si concretizza solo quando abbiamo la capacità, la sapienza spirituale e la compassione necessarie per fare all’altro questa domanda. Non è infatti sufficiente inquadrare la sventura in una categoria sociale, e neppure spiegarla a partire da circostanze meramente esteriori. Se vogliamo avvicinarci a un cuore, dobbiamo domandargli: «Qual è il tuo tormento?». Per fare questo, è indispensabile l’arte di posare sugli altri «un certo sguardo», che si ottiene solo quando accettiamo di svuotarci di noi stessi, di prendere le distanze dai nostri schemi e giudizi, di relativizzare i nostri interessi, per guardare all’inconfondibile verità di ciascuno «nel suo vero aspetto». Urtarsi gli uni gli altri è cosa ben più frequente che non prestare all’altro un’attenzione di questa qualità. E qui, le parole di Simone Weil hanno una durezza che lascia pensosi. Dice: «La capacità di prestare attenzione a uno sventurato è cosa rarissima, difficilissima; è quasi un miracolo, è un miracolo».
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