«Assenza, più acuta presenza», ci ricorda il poeta Attilio Bertolucci. La stagione calcistica che prende il via oggi è costellata di assenze, alcune incomprensibili. La Serie B partita ieri con l’anticipo Bari-Palermo, per le solite beghe all’italiana (mancate iscrizioni, impianti non a norma, solo da noi in Europa) è stata costretta a rinviare la fantomatica X-Modena e Pisa-Lecco. Lo staff giuridico della Federcalcio a luglio aveva proclamato sicuro che al 19 agosto sarebbe stato tutto a posto e che il nuovo corso non avrebbe più permesso tornei monchi e con rimpalli tra la giustizia sportiva, quella ordinaria e stop ai ricorsi al Tar, vedi il record del caso Chievo che si è appellato una ventina di volte al Tribunale amministrativo regionale. Al calcio d’inizio, assente ancora una volta l’allenatore campione in carica, Luciano Spalletti. Era già successo alla Juve con Allegri e con Sarri e con Conte all’Inter. Succederà ancora, come è successo di non qualificarci ai Mondiali e di gridare al mostro qatariota che non rispetta i diritti umani e poi ci gemelliamo con l’altrettanto anticostituzionale Turchia del dittatore Erdogan pur di portare gli Europei del 2032 in Italia. L’Inter vicecampione d’Europa di Simone Inzaghi riparte senza quel Samardzic che era il rinforzo più atteso. Potere dei procuratori, ben tre messi in campo per l’operazione di mercato, più le pretese di papà Samardzic, che se la gioca con mamma Rabiot quanto a cupidigia familiare, hanno fatto sfumare il passaggio del centrocampista serbo dall’Udinese all’Inter. La Lazio del subcomandante Sarri apre il primo anno dell’era senza-Tare. L’ex mentore albanese, un principe del calciomercato si sarebbe preso un anno sabbatico, termine spallettiano a doppio taglio perché si corre il rischio di rimanere parcheggiati a lungo all’ufficio dei soggetti smarriti. E’ anche il primo anno senza-Buffon in campo che aveva promesso a se stesso di restare in porta fino a 50 anni. Si è arreso a 45 e il prepensionamento del Gigi mondiale si è fatto sentire e notare, specie con il suo rientro in Casa Italia da Capo delegazione azzurro.
Il suo ingresso è stata la spallata finale al già traballante corso Mancini. Peccato, perché al di là di quello che sarà il suo destino (forse arabo, chissà), il Mancio ct della Nazionale era un po’ l’ultima bandiera che resisteva in questo nostro calcio. Le belle bandiere come Gianni Rivera, che ieri ha spento 80 candeline e si candida a ct dellaNazionale (lo ha fatto anche Oronzo Canà, alias Lino Banfi), non ci sono più, anzi, non le vogliono più. E’ un discorso che abbiamo già fatto ma giova ripeterlo, specie ora che il gran ballo del pallone sta per cominciare. Paolo Maldini ha regalato uno scudetto ai fondaroli americani del suo Milan, ma questi gli hanno rinfacciato il “bidone” De Ketelaere (scomettiamo che all’Atalanta rinascerà con il Gasperson?)
e l’incapacità di portare i top player in rossonero, senza però disporre di un dollaro in più. Mancano le bandiere, forse anche
i dollari, ma soprattutto non c’è più un briciolo di poesia in questo nostro povero calcio.
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