Uno tsunami di emozioni. Quella passata è stata una settimana sportiva che ha messo in fila una serie, forse irripetibile, di avvenimenti. Pelle, stomaco, cuore, cervello di milioni di appassionati sono stati messi alla prova da un'intensità emotiva straordinaria (nel senso letterale, cioè fuori dall'ordinario).
Si è incominciato con l'inaugurazione del "Filadelfia", lo stadio dove il Grande Torino rimase imbattuto per cento partite consecutive fino al tragico schianto del 4 maggio 1949, sulla collina di Superga, che portò via quello squadra leggendaria, tutta insieme. Il 15 maggio, la prima partita successiva all'incidente, una squadra di ragazzini venne chiamata a sostituire quei campioni diventati leggendari e un un mazzo di rose granata venne deposto nel cerchio di centrocampo. Sessantotto anni dopo lo stesso gesto è stato ripetuto, fra occhi lucidi di nonni e nipotini, restituendo alla tifoseria granata il luogo della propria identità.
Sabato ad asciugarsi lacrimoni increduli sono stati i tifosi dell'Atalanta, che hanno saluto l'impresa più enorme nella storia del club bergamasco, un quarto posto che passerà alla storia.
Nel weekend anche gli appassionati di motori hanno vissuto un sogno ad occhi aperti: nel Gran Premio di F1 che resta il più affascinante, quello di Monte Carlo, la prima fila dello schieramento di partenza e poi i primi due posti della gara marchiati dal rosso Ferrari. Il Cavallino di Maranello ha riacceso definitivamente quell'entusiasmo che era stato costretto a rimanere lì, come braci accese sotto la cenere di tanti anni di semi-anonimato.
Poche ore dopo è arrivata la kermesse finale dell'evento sportivo più popolare che esista: l'ultima tappa del Giro d'Italia, edizione numero 100. Milioni di cuori, sulle strade, davanti ai televisori, a battere per un eroe che in questo caso non c'è l'ha fatta. Vincenzo Nibali si è fermato sul terzo gradino del podio, ma ancora una volta ha sentito il suo nome urlato con tutta la passione possibile, praticamente ad ogni metro dei 3615 km totali percorsi.
Appena ripresi dall'uno-due di F1 e ciclismo ecco arrivare, all'inizio della sera, un cazzotto che pare stenderci: l'addio al calcio di Francesco Totti. Sfido chiunque, e dico davvero chiunque, ad affermare di non aver dovuto tirare fuori il fazzoletto fingendo un improvviso raffreddore. Un atleta, un uomo, diventato "il" Capitano capace di tenere inchiodate 70.000 persone in uno Stadio Olimpico per più di un'ora dopo la fine della partita. Non si è mosso nessuno. Nessuno. Poi settantamila esseri umani si sono alzati in piedi, tutti. Hanno cantato e urlato la loro commozione, tutti. Hanno pianto, tutti. E se a questo punto siete ancora scettici circa l'immenso potere dello sport, provateci voi, a far alzare in piedi 70.000 persone, poi ne riparliamo. Insomma, il tour de force per anime sensibili sembrava terminato con il rientro negli spogliatoi del campione giallorosso capace, tra l'altro, di soffiare nel microfono un emozionantissimo: «Adesso si spegne la luce, ho paura», come ogni bambino del mondo quando si spegne la luce, ma anche come Ettore che si toglie l'elmo davanti al figlio Astianatte prima del duello finale. Invece no.
Ultimo colpo di coda. Grazie alla vittoria dell'ultima partita, grazie a un girone di ritorno letteralmente pazzesco, conquista una salvezza pazzesca il Crotone di Davide Nicola, uomo già messo mostruosamente alla prova dalle vicende della vita, e lo stadio Ezio Scida impazzisce, non ci sono altri termini, esplodendo di una gioia incontenibile. Trovate voi una catena di avvenimenti che abbia generato così tanta emozione, felicità, nostalgia, senso di appartenenza. Un'indigestione di valori tutti positivi, in un mondo che ci ha abituato a passare da una notizia triste o tragica a quella successiva, quasi senza soluzione di continuità.
Talvolta ci concentriamo sulla narrazione di violenze, tensioni, incidenti che lo sport potenzialmente genera. Questa settimana indimenticabile ci riconduce a considerare l'enorme quantità di energia positiva che lo sport sa catalizzare, custodire e regalare a ciascuno di noi, adulto o bambino, come un dono vero e proprio, da custodire e condividere.
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