Una ricerca del 2014, riproposta di recente con qualche aggiunta e pubblicata sul Journal of Forensic Sciences, dimostrerebbe che metà, almeno, delle macchie di sangue sulla Sindone sarebbero false. I due ricercatori, entrambi italiani, «applicando – cito da un giornale che ha riportato la notizia – le tecniche della medicina forense» e con l'uso «di tecniche tipiche delle scene del crimine», avrebbero riscontrato che solo alcune delle macchie sarebbero compatibili con la posizione di un uomo crocifisso, e le altre invece sarebbero false. Una in particolare.
Cito ancora: «Per i ricercatori, questa macchia simile a una cintura "somiglia a un segno fatto in modo artificiale, con un pennello o con un dito"». Per cui «tutti questi risultati, presi insieme, fanno concludere che la sindone sia un prodotto artistico "in linea con le analisi già esistenti, come la datazione al radiocarbonio, secondo cui la sindone è un prodotto artistico medievale"».
La ricerca, a dire il vero, non porta nulla di nuovo a quanto già rilevato, e contestato, in passato, a cominciare dal fatto che, per esempio, i risultati della datazione al radiocarbonio sono stati documentatamente provati come inattendibili. Così come nei giorni scorsi molti sindonologi hanno rilevato le troppe incongruenze della ricerca citata (che infatti, presentata nel 2014 a un congresso, non ebbe alcuna eco).
Il punto, tuttavia, non è questo. Perché riguardo alla Sindone la Chiesa non solo non ha mai affermato, come noto, l'autenticità del lino, ma è andata anche oltre. Come disse Giovanni Paolo II, infatti, la Chiesa non si riconosce «competenza specifica per pronunciarsi» su alcune questioni riguardanti «il rapporto tra il sacro Lino e la vicenda storica di Gesù». Essa «affida agli scienziati il compito di continuare ad indagare»; solo li «esorta ad affrontare lo studio della Sindone senza posizioni precostituite». Allo stesso modo tuttavia dalla Sindone, «icona della sofferenza dell'innocente di tutti i tempi», bisogna trarre lo stimolo per moltiplicare l'attenzione alla sofferenza dell'uomo: «Davanti alla Sindone – infatti – come non pensare ai milioni di uomini che muoiono di fame, agli orrori perpetrati nelle tante guerre che insanguinano le nazioni... Come non ricordare con smarrimento e pietà quanti non possono godere degli elementari diritti civili, le vittime della tortura e del terrorismo, gli schiavi di organizzazioni criminali?».
Non a caso Benedetto XVI, nella sua visita pastorale a Torino nel 2010, la definì "Icona del Sabato Santo": «Sul finire dell'Ottocento, Nietzsche scriveva: "Dio è morto! E noi l'abbiamo ucciso!". Questa celebre espressione, a ben vedere, è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana, spesso la ripetiamo nella Via Crucis, forse senza renderci pienamente conto di ciò che diciamo. Dopo le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki, la nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore un Sabato Santo: l'oscurità di questo giorno interpella tutti coloro che si interrogano sulla vita, in modo particolare interpella noi credenti».
E Francesco tre anni fa, sempre a Torino: «La Sindone attira verso il volto e il corpo martoriato di Gesù... e, nello stesso tempo, spinge verso il volto di ogni persona sofferente e ingiustamente perseguitata. Ci spinge nella stessa direzione del dono di amore di Gesù».
Eccolo, dunque, qual è il punto. Non è la Sindone importante per la Chiesa, perché sia essa "autentica" o no, non aggiunge né toglie nulla alla fede. Però è importante per gli uomini, tutti, perché non perdano la loro umanità.
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