Una turbolenza in aereo fa capire tante cose. In particolare, il tuo rapporto con il destino e la paura. Su un volo da Milano a Barcellona, parecchi anni fa, imparai che per fortuna il destino non è una cosa sicura, che deve succedere per forza. E che bisogna aver paura solo di ciò che non si conosce. Sei secondi di vuoto d’aria però sono davvero infiniti, anche se stai volando verso una finale di Coppa, seduto tre file dietro una squadra di calcio. A loro di solito non capita di cadere prima di aver giocato. E quando è successo dopo, a quella squadra almeno è rimasta la consolazione di essere diventata un mito. La persona davanti a me, comunque, di passare alla storia non aveva alcun desiderio. E più prosaicamente vomitava nell’apposito sacchetto. Smorfie isteriche, qualche grido. Ricordo un difensore duro e coraggioso del Milan che piangeva come un vitello. Gli altri, muti. Ibernati nel loro terrore. Le turbolenze forti sono come i testamenti: ti fanno capire cosa davvero importa, chi non vorresti perdere o far soffrire, quali conti hai aperti e a chi rimetterti. Ma quando vedi tutto nero, e pensi che forse è finita, qualcuno in cabina di pilotaggio, dopo aver pazientemente sopportato il cielo arrabbiato, trova un varco e ti riporta a terra. Su un aereo, e spesso anche nella vita.
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