Sul Frecciarossa, a trecento all'ora, fuori dal finestrino i paesi fuggono via, invisibili e uguali. Penso a quanti treni ho preso, e a quanti ne hanno preso i miei, per incontrarsi, ragazzi, quando vivevano lontani. La storia di una famiglia sta anche nei binari, su cui si corre per abbracciarsi.
I miei si sposarono, dopo la guerra e dopo mille lettere d'amore, il 2 gennaio 1946. Lui aveva trovato lavoro a Milano, e partì per le nozze, il 31 dicembre, verso la Puglia, dove mia madre era sfollata. Portava con sé cose preziose: una coperta di pura lana, dello zucchero, introvabile, e perfino dei confetti, rimediati chissà come. Mi immagino quel giovane uomo alla Centrale, affannato, carico di pacchi. Andava a sposare Anna, e quanto, al fronte, lo aveva sognato.
Viaggiò la notte di capodanno, senza brindare, ma ebbro di gioia. Il treno procedeva lento su binari disastrati. In ogni piccola città, come a prender fiato, si fermava.
Quaranta ore, da Milano a Foggia. E nel mio dormiveglia sul Frecciarossa oggi amo pensare di cullarmi nel lento dondolio di quel convoglio per il Sud - quaranta ore di felicità pura.
La vita, poi, sarebbe stata diversa. Ma quel treno, com'era colmo speranza. E se un giorno potrò, libera dal tempo, esaudire un desiderio, domanderò, papà, di salire con te, su quel vagone.
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