Monferrato, 4 settembre – Le vigne cariche di grappoli scuri e pesanti sembrano ansiose di sgravarsi. I girasoli alti come un uomo, in fila e bruciati, il capo chino, sono un esercito di soldati sconfitti, che si consegna al vincitore. Nella giornata serena non un filo di vento, e caldo, ancora. Ma che cosa, mi domando camminando fra queste colline, in pochi giorni è così cambiato; che cosa, nella dolcezza di questo paesaggio di settembre, mi immalinconisce. Non è la terra dei campi, là dove è già spaccata in zolle. Non è nemmeno il verde delle foglie degli alberi, benché ci scorga dentro come una nota spenta, un vigore perduto. Non sono le rose nei giardini, spalancate, struggenti nel loro rosso sangue. C'è qualcosa, mi dico camminando, in questa bellezza che mi manca, e mi fa male. È la mia ombra sulla argilla secca, crepata, delle sterrate che mi fa capire: non è più netta, tagliente e nera, come appena ieri. È la luce, che è un'altra. È questo sole alto eppure non più leonino, è la incidenza dei raggi sul terreno. Non cadono più perpendicolari al suolo, incidendolo, quasi, di calore bruciante. Lo accarezzano invece, già leggermente obliqui; e si sfanno in questa carezza le ombre delle persone e delle cose. Lo sento sulla pelle, poi, questo sole che non è più lo stesso: scalda ma non arde, dà luce ma non acceca. È il sole, in questa bella mattina di settembre, che è invecchiato. Tanto che già al tramonto ci si accorge di come se ne va prima, e veloce, lasciandosi dietro un buio tiepido; e questo accorciarsi dei giorni mi pare un manto che la terra si tira addosso, come riarsa, esausta, ansiosa di riposare. All'alba la luce non irrompe più chiara e perentoria, ma si fa avanti più tardi, gentile quasi, in un cielo impallidito.La luce di settembre mi fa pensare a una donna bella che, gli anni avanzando, un mattino si specchi e veda i primi segni che il tempo ha lasciato sul suo viso; e da orgogliosa che era si faccia umile, come questuando allo specchio la conferma di essere bella, ancora.La luce di settembre è già il principio di un addio, ed è per questo che mi immalinconisce. Si alzano su queste colline in volo grandi stormi di rondoni, e volano in geometrie perfette e ordinate, disegnando ampi cerchi in cielo. Poi, ritornano su se stessi e si posano sugli alberi. Come se ancora non sapessero con esattezza dove andare, ma soltanto che l'ora è prossima – l'ora di partire. E si rialzano e tentano una rotta, ostinati, e ritornano. Le loro mille ali nere ansiose di un comando silenzioso. Non sanno perché, né quando, gli stormi di settembre, sanno soltanto che l'ora si approssima: e inquieti si levano, girano e tornano, trasmettendo muti agli uomini un segnale. Autunno, trasparenza del tempo che declina – dell'ora in cui, come i rondoni, anche noi dovremo andare.
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