Un po' Indiana Jones, un po' Rambo soprattutto per qualche atteggiamento militarista, Paolo Campanardi detto Gibba è tornato il giovedì alle 21.25 su DMax (canale 52 del digitale terrestre) con le sue avventure di Metal detective alla ricerca di reperti bellici in luoghi di guerra passati alla storia. Nella prima serie lo abbiamo seguito sul Sasso di Stria, sul Monte Ragogna, sul Tagliamento, a Salò e ad Anzio. In questa seconda stagione, partita il 13 maggio, lo abbiamo ritrovato sulle rive del Po per ricostruire la rotta disperata di un giovanissimo granatiere austriaco e della sua squadra all'indomani dello sfondamento della Linea gotica da parte degli alleati nell'aprile del 1945. Mentre nella puntata di giovedì scorso lo abbiamo visto scalare il Monte La Defensa, nel casertano, dove alla fine del 1943 operò un'unità speciale composta da soldati americani e canadesi ribattezzati «Diavoli neri» perché spesso attaccavano di notte con il viso dipinto di scuro. La prossima settimana troveremo Gibba con il suo kit di sopravvivenza e l'immancabile metal detector sul famoso Col Moschin, nel massiccio del Monte Grappa, che nel 1918 fu teatro dell'azione del IX reparto d'assalto (si tratta di un episodio disponibile in anteprima, assieme ai due successivi, sulla piattaforma on line Discovery+). Ogni volta Gibba segue un preciso rituale a partire dall'incontro con lo storico o l'esperto del posto al quale alla fine consegnerà i reperti rinvenuti perché siano studiati o conservati. Dopo di che, una volta preparato lo zaino, al fatidico «Andiamo ragass» inizia il viaggio tra luoghi impervi e scalate la cui pericolosità è volutamente enfatizzata da riprese in soggettiva con una piccola videocamera. È un espediente per coinvolgere maggiormente il telespettatore, che tutto sommato si lascia catturare da questo programma un po' particolare, che sembra comunque avere un suo perché.
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