Kristina Vogel ha ventisette anni e in bacheca tre medaglie olimpiche (due d'oro, Londra 2012 e Rio de Janeiro 2016), undici titoli mondiali e quattro europei. Il suo mestiere? Andare forte, fortissimo, in bicicletta: una carriera straordinaria nella velocità su pista e nel keirin, la spettacolare specialità in cui le atlete gareggiano alla ruota di una motocicletta che aumenta man mano la sua velocità fino a spostarsi, a qualche centinaio di metri dal traguardo, per lasciare ai ciclisti lo sprint finale.
Nel 2009 Kristina, che ha già dimostrato tutto il suo talento, durante un allenamento in strada si scontra con un'automobile. Si frattura una vertebra, la mascella, le braccia, le mani e rimane in coma indotto per due giorni. Risalirà molto rapidamente in bicicletta e nei sette anni successivi arriveranno tutte le sue vittorie, compresi i due titoli di campionessa olimpica. Quattro mesi fa, di nuovo, un gravissimo incidente. Si sta allenando al velodromo di Cottbus, in Germania, quello dove è cresciuta e con lei sono cresciuti i suoi sogni di ragazza. Sta facendo una sessione con una compagna di squadra, quando, improvvisamente, entra in pista un atleta che non avrebbe dovuto essere lì. Kristina cade rovinosamente a terra, viene elitrasportata al Trauma Center di Berlino. «Sta davvero male» dice il suo tecnico della nazionale. Passano un po' di settimane di silenzio. Poi, a settembre, è lei stessa a rilasciare una intervista al giornale tedesco "Spiegel". È arrabbiata e non lo nasconde. «Sono diventata paraplegica» dice, senza lasciare spazio a false illusioni. «Non tornerò mai più in bicicletta e neppure camminerò. Comunque la si voglia vedere è uno schifo. Le mie gambe non reagiscono più a nessun contatto. Questa situazione non può più cambiare, cosa devo fare se non guardare avanti? Penso che prima accetterò questa condizione, meglio potrò gestirla».
Nel velodromo di Cottbus tutto era iniziato, proprio lì tutto sembrava essere finito. Passa poco più di un mese e, pochi giorni fa, Kristina pubblica un video di se stessa, sulla sedia a rotelle, mentre si sta allenando nel tiro con l'arco. Non so se sia il preludio a qualcosa di serio, magari a una nuova sfida olimpica, ma immediatamente mi è venuta alla mente la parabola di un altro bi-campione olimpico, proprio come Kristina. Il leggendario etiope Abebe Bikila, capace di vincere a piedi scalzi la maratona dei Giochi Olimpici di Roma 1960 e poi di ripetersi, indossando le scarpe, quattro anni dopo a Tokyo. Nel 1969 un incidente automobilistico inchioda anche lui alla sedia a rotelle. Bikila trova la forza di ripartire, prima provando con il tennis tavolo e poi partecipando addirittura a una gara di slitte in Norvegia, nel 1970 che vincerà. Quanto di più lontano da ciò che faceva si potrebbe immaginare? Tuttavia sarà proprio il tiro con l'arco ad appassionarlo al punto da farlo tornare a competere sotto alla bandiera con i Cinque Cerchi, ai Giochi Paralimpici di Heidelberg nel 1972. Evidentemente chi è abituato a prestazioni di eccellenza, non cambia il suo modo di vedere le cose, qualunque cosa succeda.
E può succedere di essere recisi nel pieno delle proprie forze, quando ci si sente imbattibili. Non si può decidere che non succeda, si può decidere soltanto che cosa fare se e quando succederà. Probabilmente è per questo che lo sport è l'epica dei giorni nostri e che alcuni atleti assurgono al ruolo di eroi: perché le loro storie vanno oltre il significato personale e la loro grandezza trascende l'individuo che le interpreta. Diventano patrimonio di tutti e ci descrivono, definitivamente, che cosa sia la mentalità vincente, ovvero quel principio dell'ispirare che ha un etimo che, a sua volta, ha a che fare con il "soffiare". Soffiare aria, soffiare ossigeno negli altrui polmoni per restituire alla vita.
Succisa, virescit (Tagliata, ricresce) è il motto della Abbazia di Montecassino, fondata nel 572 da San Benedetto e rasa al suolo quattro volte: prima dai Longobardi, poi dai Saraceni, poi ancora da un terremoto nel 1349 e, infine, dal feroce bombardamento aereo anglo-americano nel 1944. Sempre risorta, più solida e bella di prima. Succisa, virescit. Valga anche per te, Kristina e di riflesso per tutti noi
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