Non è una novità che oggi i giovani non siano protagonisti nella società. È almeno dagli anni Ottanta che sono stati relegati in una specie di piano parallelo, nel quale sono tenuti in conto in una prospettiva solo funzionale, non come portatori di progettualità ma destinatari di iniziative altrui, che nella società consumistica vuole dire contare non come persona ma come statistica.
È quella che qualche giorno fa Papa Francesco, ricevendo ai partecipanti al capitolo generale dei Padri Trinitari, ha definito la «cultura del grande vuoto, provocata dal pensiero debole e dal relativismo» che portano «a vivere "alla carta"». Una «cultura del frammento» in cui «i grandi temi hanno perso significato» e «l'immanentismo» fa vivere «chiusi tanti giovani». Una vera e propria sfida per il mondo degli adulti, chiamati a stare accanto ai giovani, che altro non cercano che di essere «accompagnati« nelle loro passioni e aspirazioni, non «disprezzati» nei loro «limiti» dati dall'età o dall'inesperienza.
In queste parole di Bergoglio c'è la chiave per capire il perché del clamoroso successo delle Giornate mondiali della gioventù, nate dalla intuizione profetica di Giovanni Paolo II e ulteriormente andate crescendo con Papa Benedetto XVI e Papa Francesco. Occasioni in cui negli anni decine di milioni di giovani di ogni Paese hanno scoperto una Chiesa che crede in loro, e parla la loro stessa lingua. Li apprezza per quello che sono, e li aspetta. Perché nessuno rubi loro «la capacità di sognare e di profetizzare!». I giovani infatti, sottolinea Papa Bergoglio, sono «capaci di dedizione incondizionata alle grandi cause», ma hanno anche bisogno di avere «compagni di strada» che li accompagnino passo dopo passo, «pozzi di acqua viva dove poter saziare la sete di pienezza». Ricordando che «chiedono che sia dato loro un certo protagonismo in tutto questo. I giovani non sopportano ambienti in cui non trovino il loro spazio e non ricevano stimoli».
Un memento, questo del Papa, per ogni nuovo educatore, che diventa imperativo per chi nella Chiesa ha nella educazione il suo carisma: «Siate per i giovani dei fratelli maggiori con i quali possano parlare, dei quali si possano fidare. Ascoltateli, dialogate con loro, fate discernimento insieme. Che sentano che li amate veramente e per questo potete proporre loro la misura alta dell'amore: la santità, un cammino di vita cristiana controcorrente come quello delle Beatitudini». Senza mai dimenticare i ragazzi e le ragazze «che si sono allontanati». Non escludete nessuno, incontrateli e, dopo averli incontrati, «c'è bisogno di ascoltarli, chiamarli, suscitare il desiderio di muoversi per andare oltre le comodità in cui si adagiano».
Per far questo, è necessario uscire da «schemi prefabbricati, senza dimenticare che, specialmente con i giovani, bisogna essere perseveranti, seminare e aspettare pazientemente che il seme cresca e un giorno, quando il Signore vorrà, porti frutto». «Davanti alla tentazione della rassegnazione nella pastorale giovanile e vocazionale vi è chiesta l'audacia evangelica per gettare le reti, anche se può non sembrare il tempo o il momento più opportuno». Non fare questo, venir meno a questo mandato vuol dire buttare via i giovani, gettare al vento il futuro.
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