sabato 21 agosto 2021
A quanti gli chiedevano perché i religiosi cattolici stessero ancora in Algeria durante la guerra civile, che negli anni Novanta causò centocinquantamila morti, Pierre Claverie, vescovo e ora beato, rispondeva: «Non siamo mossi da non so quale perversione masochista o suicida. Restiamo là come al capezzale di un amico, di un fratello ammalato, in silenzio, stringendogli la mano, asciugandogli la fronte. A causa di Gesù, perché è lui che soffre qui, in questa violenza che non risparmia nessuno». Nel suo romanzo Acquavita (Iberborea) Torgny Lindgren fa incontrare l'ex pastore Olof Helmersson, prima predicatore di Dio e ora della sua non esistenza, con Gerda, la donna che l'ha sempre atteso, lei che ha ancora custodito la fede in Dio. E ora che è in fin di vita, si re-incontrano: «Gerda domandò dell'amore di Dio. Com'era dunque, questo amore? Che potesse confidare in Dio, lo sapeva. Ma l'amore? Era pur sempre noto a tutti quanto capriccioso e incostante potesse essere l'amore. E anche quel giorno lui era rimasto in silenzio e forse un pò titubante al suo capezzale, un paio di volte aveva aperto la bocca come per dire finalmente qualcosa, ma neanche un suono gli era salito sulle labbra». Stare al capezzale di un sofferente resta sempre la miglior scuola di teologia che sia concepibile.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI