sabato 15 aprile 2023
Shangai, Esposizione Universale del 2010. I padiglioni erano appena stati inaugurati ed io avevo abbandonato la delegazione italiana in visita per farmi una passeggiata in mezzo alle impalcature internazionali dove frotte di gente erano capaci di restare in fila per ore, in attesa di entrare ad ammirare stupefatti le meraviglie del mondo intero, riprodotte in pochi esemplari: astronavi, giardini botanici, crauti e popcorn, sombreri e colbacchi, champagne, caffè Illy e Ferrari. A guidarmi c’era Angelica, cinesissima, che aveva scelto di farsi chiamare così in onore di Ludovico Ariosto. Da un’altura sullo sfondo si vedevano giganteggiare i famosi grattacieli, fantastici leghi luminosi come bizzarre repliche di quelli americani: mi venne spontaneo accennare a un nesso con i macchinari fantastici dell’Orlando Furioso, ma presto compresi che Angelica in realtà non aveva letto il famoso poema a cui pure s’era ispirata: della letteratura italiana, lei, studentessa universitaria alla facoltà di lettere, conosceva soltanto Marco Polo, Umberto Eco e Italo Calvino. Lungi dallo scandalizzarmi, questa sua beata ignoranza, dichiarata con un sorriso splendente, mi fece riflettere sulla potenza seriale del Paese in cui mi trovavo, sull’inevitabile fine dell’opera d’arte e sulla futilità di ogni sapere. © riproduzione riservata
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