Settimana triste e solitaria, sette giorni di valzer degli addii. Se ne è andato l'uomo della Domenica Sportiva, ma che prima fu la “voce della luna” (mitica diretta Rai dello sbarco del '69) Tito Stagno, poi la “colonnella” della commedia all'italiana, ma che agli esordi fu lunare anche lei ne L'Eclisse di Michelangelo Antonioni. E con Stagno e la Vitti, saluta e va nel mondo dei più, anche il presidente Maurizio Zamparini. Ultimo esemplare di presidente vulcanico il patron di Venezia e Palermo. Ironia della sorte vuole che due vulcani del pallone come Zamparini e Gaucci, si siano spenti lo stesso giorno, il 2 febbraio. “Big Luciano” Gaucci è volato via due anni fa, e in fatto di Calciopoli e dei tentacoli della piovra che avevano strangolato il suo Perugia la pensava proprio come Zamparini: «Hanno sostituito il vecchio potere con uno nuovo». I nuovi poteri del Palazzo del pallone, nella ressa delle proprietà cinesi, americane e multinazionali affini, si fa fatica a scovarli. Di sicuro, un potentissimo e quasi intoccabile, nel tempo è diventato il patron della Lazio Claudio Lotito. Un creativo della finanza. Quando entrò nel calcio, l'estate del 2004, arrivando come Gaucci dal ramo pulizie (impresa S.n.a.m. Lazio Sud), prese il club dei Cragnotti ormai più pelato dai buffi dei loro pomodori Cirio, e riuscì a salvare la società dal fallimento avvalendosi della “spalmadebiti”. Una trovata che nemmeno un genio bancario del calibro del nostro premier Draghi avrebbe pensato. Lotito si avvalse del “Decreto salva-calcio” approvato l'anno prima dal governo Berlusconi, per mezzo della quale ottenne la rateizzazione del debito pregresso con l'Agenzia delle Entrate: 140 milioni in 23 anni. Assai prima di questa scadenza, Lotito ha sanato il patrimonio della Lazio con dei bilanci specchiati, anche perché il patron non spende e non spande, e non a caso per i tifosi è assurto al perfido “Lotirchio”. In 500, per lo più nostalgici dell'era Cragnotti, giovedì si sono dati appuntamento a casa Lazio, a Formello per contestare Lotito e il suo mentore, il ds Igli Tare. La “pax inzaghiana”, le stagioni dell'amore con l'ex tecnico, squadra e dirigenza, pare finita, e a sancirlo è uno striscione inequivocabile: «Un altro mercato all'insegna della mediocrità, Lotito non sei degno di questa società». I due colpetti arrivati dalla ex sessione di riparazione, Kamenovic e Cabral, per i tifosi sono degni della succursale lotitiana (la Salernitana) e glie lo rinfacciano con un altro drappo intimidatorio: «Vattene a Salerno!». Conoscendo il patron laziale, tra una telefonata e l'altra sbrigata dai suoi cinque smartphone d'ordinanza, non si sarà scomposto neanche un attimo, e da fine latinista avrà glissato fissando il balcanico Tare: «Excusatio non petita, accusatio manifesta».
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