Il sorriso della donna è sorpreso e felice nel mentre solleva lo sguardo da terra, lì dov’è seduta a gambe incrociate, le braccia tese a reggere uno specchio in cui un’altra donna si guarda, lei anche lieta. Due i sorrisi nella fotografia, ed è come dialogassero tra loro per tramite dell’invisibile terzo convitato, l’occhio del fotografo (non visto ma anch’esso divertito, si suppone). Il sorriso dell’“aiutante” che ammicca complice mentre fissa l’obbiettivo della macchina fotografica. Il sorriso dell’altra, intenta a sistemarsi i capelli rimirandosi nello specchio dalla cornice larga che l’amica ha sollevato per lei, quella lastra rettangolare offerta all’obbiettivo fotografico come si trattasse di un trofeo. Un vezzo di civetteria, impercettibile ma chiarissimo, aleggia su tutta la scena. Sono due donne gitane, a Montreuil, periferia di Parigi, è il 1945. Come per tanti altri suoi scatti, Willy Ronis con uno sforzo della memoria ricostruisce la circostanza, il fortunato momento in cui ogni cosa si è allineata così da generare quell’attimo. Quella «gioia dell’imprevisto», così Ronis la chiama. Giocoso spiare, furtivo carpire sorrisi lasciando che rimbalzino dallo specchio all’obbiettivo, e viceversa. Come una simmetria di raggi che di sguardo in sguardo acquistano più luce.
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