Più fatturato, più vendite all'estero e più imitatori. Può essere sintetizzata così la situazione " tutto sommato positiva " dell'industria agroalimentare italiana che guadagna spazi di mercato oltre confine e che sembra essere sempre di più l'anello forte della catena alimentare, insieme al commercio e a scapito, però, dell'agricoltura. Ad indicare lo stato di salute della trasformazione alimentare sono alcuni numeri messi in fila in questi ultimi giorni. A gennaio, l'indice della produzione ha fatto registrare un incremento, rispetto allo stesso mese del 2007, del 6,8%, conto il +3,4% rilevato a dicembre. Soprattutto però, a correre, per tutto lo scorso anno, sono state le esportazioni arrivate alla bella cifra di 18 miliardi di euro, con una crescita del 7,2% rispetto all'anno precedente. Secondo Federalimentare, che ha elaborato i dati, i mercati più forti per i prodotti nostrani sono sempre la Germania " che ha assorbito oltre 3 miliardi, il 17,7% del totale " seguita dagli Usa (circa 2,2 miliardi, il 12,3% del totale) e dalla Francia (2,115 miliardi, 11,9%). A maggiore distanza sono il Regno unito (1,787 miliardi di euro), la Svizzera (750 milioni di euro) e la Spagna (700 milioni di euro). In termini più aggregati, l'Unione Europea rappresenta il 65% delle esportazioni, gli Usa pesano per il 12,3%, mentre il resto del mondo importa il rimanente 22% del made in Italy alimentare. Numeri positivi, dunque, che da una parte la dicono lunga sulle capacità della nostra industria agroalimentare, ma che dall'altra devono ovviamente essere valutati sulla base della congiuntura economia nazionale e mondiale. E, soprattutto, sull'orizzonte che aspetta gli imprenditori, anche quelli alimentari. È probabilmente per questo che il vertice dell'industria alimentare italiana, Giandomenica Auricchio, ha sottolineato come «la forza dell'euro, l'impennata del petrolio e soprattutto gli aumenti delle materie prime rischiano di vanificare gli sforzi che abbiamo fatto negli ultimi anni, soprattutto se non saremo adeguatamente sostenuti dalle istituzioni». Accanto a tutto ciò, continuano, d'altra parte, gli innumerevoli «attacchi scorretti» che ogni giorno arrivano alle nostre produzioni. Attacchi, che, adesso, arrivano magari anche senza volere ma che dimostrano tutta la fragilità del sistema agroalimentare del Paese. Oltre agli ormai arcinoti Parmesan, Provoloni, Chianti e simili, è notizia quasi dell'ultima ora la presenza sui mercati di un vino californiano che usufruisce del termine Brunello e che sembra non essere fuori legge. Questione di indicazione di località di produzione e di vitigni usati. Questione tecnica, dunque, ma che può avere un impatto economico notevole. Dare il via libera una volta, infatti, potrebbe significare essere costretti, per le regole e le consuetudini del commercio internazionale, a darlo sempre. Il successo, quindi, c'è, ma è delicato, è da curare e da far crescere quasi come una pianta rara. Anche questo fa parte della sfida che i nostri imprenditori agroalimentari devono affrontare ogni giorno.
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