Tra il 27 e il 28 aprile, come ogni notte, si è alzata la luna nel cielo vellutato e pieno di stelle. Si è alzata sopra un'Italia in preghiera, stretta in un abbraccio unanime che non si era visto da molto tempo. Era alta nel cielo la luna quando Alfie Evans moriva, alle 2:30 del 28 aprile.
Nello stesso giorno in cui la Chiesa commemora Gianna Beretta Molla (una madre che ha dato la vita per la figlia), un sistema di pensiero malato ha dato la morte a un bambino. Un sistema di pensiero senza Dio e senza fede, che non ha ascoltato la voce di un padre, del Papa, di migliaia di padri, la voce di una madre e di migliaia di madri. Sì, la luna sorge anche sul panorama desolato dipinto da Samuel Bak (1933). Una luna nuova su un paesaggio vecchio, come suggerisce l'artista nel titolo dell'opera. Le case del ghetto, focolari famigliari un tempo carichi di vita e di calore, giacciono ai piedi di un'enorme tazza da latte. Una tazza come tante dove i bimbi affondano le labbra per bere il latte del loro svezzamento. Non c'è più nessuno a reclamare la sete e la fame. Acqua e cibo sono stati negati a migliaia di bambini, dalla Shoah fino ai giorni nostri.
Samuel Bak, luna nuova su un paesaggio vecchio, olio su tela, 2017 Collezione Privata
La vita pur preziosa e cara di Alfie Evans impallidisce di fronte al reale problema cui siamo stati messi di fronte. La morte di Alfie – come la luna di Bak – ha messo in luce che il problema non è una singola vita, bensì lo sterminato numero di bambini che sono uccisi per farne carne da macello, cosmetici e traffico d'organi. Una mercificazione terrificante del corpo umano. L'eugenetica hitleriana è giunta quasi al suo apice. L'altisonante nome di Lord Justice, portato dai giudici che in Corte d'appello hanno ripetutamente negato a due genitori di disporre della vita e della salute del proprio bambino, suona come una beffa. Ma i Signori della giustizia su una cosa non hanno potere: sulla Croce del Salvatore. Questa morte aprirà le coscienze di molti, più di tanta propaganda mediatica viziata e fasulla, questa morte toglierà alla menzogna il pungiglione. A noi spetta di ricordare, di fare memoria, non dimenticare. Samuel Bak, che nelle sue opere continua tenacemente a ricordare la Shoah, non dimentica i genocidi attuali. In una mostra del 2015 ha dedicato molte sue opere alla giustizia pensando alla Siria, al Pakistan e a tutti i luoghi dove guerra e persecuzioni mietono ancora vittime. Sono bendate le personificazioni della giustizia di Bak, sono bendate e di pietra. Vogliono dire a noi che è importante non dimenticare. Dobbiamo essere noi gli occhi di quella giustizia cieca che toglie alla famiglia i suoi diritti e all'uomo inerme la sua dignità.
Nel paesaggio irreale del dipinto di Bak tutto sembra distrutto: le case, gli alberi, le colline. Tutto, tranne la piccola tazza sbeccata del bimbo che non è più, ma la cui voce, ancora, culla la luna. Questa tazza immota canta già la gloria della risurrezione. E se la luna sorge alta nel cielo su un paesaggio vecchio è pur vero che quella luna è nuova. Nuova la consapevolezza di chi ha pregato, nuova la fede di chi ha ascoltato la voce rotta del papa, nuova la speranza di chi ha visto muoversi il governo italiano. Faceva impressione riascoltare, durante una veglia di preghiera organizzata la sera del 28 aprile, un popolo che radunato in chiesa proclamava in piedi le parole di Giovanni Paolo II: «Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso». Sì, ci alzeremo in piedi come la tazza di Bak certi del sorgere di una nuova luna.