Un anno fa Meta lanciava nel mondo dei social Threads, l’anti X (ex Twitter). Grazie all’appoggio di Instagram di cui sembrava quasi un’estensione basata sui testi invece che sulle immagini, fece scalpore, raggiungendo i 100 milioni di utenti più velocemente di qualsiasi altra app nella storia. Poi cominciò a decrescere e, dopo mesi, tornò a ricrescere. Oggi, secondo quanto ha dichiarato Mark Zuckerberg, Ceo di Meta (che possiede Threads, Instagram, WhatsApp e Facebook) «ha ormai superato i 175 milioni di utenti mensili». Se si paragonano i numeri con Instagram o Facebook sembra una piccola cosa. Ma se paragonato a X che ha circa 550 milioni di utenti mensili, Threads non sembra messo così male. C’è chi ne sottolinea la sua vivacità e chi il suo feed
“per te” in stile TikTok. Ma c’è anche chi non dimentica la recente decisione di Meta di nascondere di default i contenuti politici dagli account che gli utenti non seguono. Il giornalista Casey Newton, già collaboratore del New York Times e autore di una newsletter, Platformer, da quasi 200mila iscritti, ha incontrato il capo di Threads, Adam Mosseri, per discutere del primo anno dell’app e della sua evoluzione. Dopo le prime domande sul successo e la crescita del social, si parla dei suoi problemi. Anche perché chiunque abbia usato Threads nell’ultimo anno si è accorto che ha alcuni dei peggiori difetti di X/Twitter. Per esempio, si fa fatica a trovare idee di valore. Per Mosseri «non è un social per la condivisione delle tue idee. Ma un luogo per commenti su ciò che sta accadendo nel mondo». Eppure su Threads capita sempre più spesso di incontrare post di persone che, come ha scritto Max Read, «raccontano storie a caso senza alcun collegamento con i tuoi interessi». Al proposito la difesa di Mosseri non è molto convincente e diventa criptica quando dice che Threads è un luogo per le notizie e il giornalismo ma che non faranno nulla per promuoverlo. E le accuse di censura? «Orientare un social verso la politica può forse aumentare il coinvolgimento ma aumenta anche i rischi». Mosseri fa come esempio la guerra a Gaza. A cosa serve, si chiede, mostrare contenuti che esprimono opinioni forti e divisive, che siano pro israeliani o pro palestinesi, a qualcuno che non ha scelto di seguire l’account che li produce? «Ne vale davvero la pena? Ne vale i rischi che ne conseguono?». Eppure oltre alla rabbia e alla volgarità diffusa, un dei problemi nei quali è incappato chi tra noi si è iscritto a Threads è che si fa più fatica che su altri social ad aumentare il numero di persone che seguano il nostro profilo. Mosseri si difende con un generico: «È nel nostro interesse aiutare i profili delle persone a crescere». Poi aggiunge che la sua speranza è che le persone imparino a usare i social con un fine preciso. Infine ci dà un consiglio pratico: se stai davvero cercando di far crescere la tua presenza sul social, dovresti rispondere molto di più di quanto pubblichi. Postare qualcosa e poi andarcene senza rispondere a chi ha commentato il nostro contenuto, secondo lui, spegne il contenuto stesso. Inevitabile alla fine di un anno di vita del social, chiedere al suo responsabile i prossimi obiettivi: «Dobbiamo migliorare la comprensione degli interessi degli utenti per servirli meglio. E ovviamente vorrei portare nel prossimo anno Threads a battere X (ex Twitter)». Ma la cosa più importante che dice riguarda la rabbia online. «Dobbiamo rendere Threads uno spazio meno arrabbiato. Dobbiamo tutti fare di più per abbassare la rabbia social». E in quel tutti ci siamo anche tu e io.
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