Sulla mia pagina Facebook arrivano spesso tizi o tizie a chiedermi l'amicizia. Certe volte è solo per avvicinarsi il più possibile e prendere meglio la mira: smitragliate di insulti, licenza di epiteti che mai utilizzerebbero in presenza.
Sull'aggressività social (frustrazione, rabbia, rivincita, invidia) si sono scritti interi trattati, ma la chiave più convincente me la dà un'amica: altro che social, lì c'è troppo individuo, e l'individuo è violento e armato di diritti con cui governa il suo territorio inviolabile.
Nella relazione, quando le cose vanno sufficientemente bene, la lingua dei diritti è solo residuale, l'ultima spiaggia in caso di disfunzionalità. Tra te e l'altro corrono altre cose: disuguaglianza, alternanza, bisogno, cura, conflitto, amore. Un insieme dinamico e vivente, che si irrigidisce nella logica dei diritti solo quando arriva in punto di morte.
Ma se, come succede sui social, sei quell'uno che vale uno, se siamo tutti commissari tecnici e terrapiattistici; se chiunque può dire qualunque cosa su qualsivoglia argomento senza tenere in alcun conto le competenze; se sei tanto solo (altro che social) in quella giungla di individui assoluti e uguali, allora non puoi che muoverti con la katana alla cintura, con l'arco e le frecce dei diritti con cui infilzare l'altro uno che occasionalmente ti contrasta.
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