La Siria, l'Iraq, il Pakistan, il Bangladesh... Mentre le notizie sulla “religione che divide” si riprendono la maggioranza dei post degli ultimi giorni (accade ogni volta che papa Francesco si prende una sorta di pausa nella sua instancabile attività pubblica), tutte le fonti digitali riportano, senza significative variazioni di accenti, la notizia che questa sera «Fontana di Trevi si tinge di rosso». L'iniziativa si deve alla sezione italiana di Aiuto alla Chiesa che soffre ed è pensata (i lettori di “Avvenire” già lo sanno, anche perché il nostro giornale ha aderito all'iniziativa) come un grande segno pubblico di denuncia delle persecuzioni che i credenti, e segnatamente i cristiani, soffrono in tutto il mondo.Mi colpisce favorevolmente il chiasmo che si disegna se accosto questa iniziativa all'altra: quella che, con analoga tecnologia (se ben intendo), la sera dell'8 dicembre proiettò sulla facciata della Basilica vaticana immagini di sensibilizzazione sulla questione ambientale. Là una riflessione nata fuori dalla Chiesa, ma alla quale la Chiesa non si considera estranea, si giovava di un simbolo religioso potente: il centro della cristianità; qui una preoccupazione che tocca al cuore le comunità di fede, ma che non può lasciare indifferenti gli “altri”, utilizza un simbolo che di religioso ha avuto il committente, ma che per il resto ha un sapore decisamente pagano, con o senza Anita Ekberg dentro.Non fingerò di ignorare che tanti ai quali non era piaciuta l'altra iniziativa plauderanno a questa, la quale, viceversa, troverà dei critici tra i fautori di quella. Li attendo con rispetto sulla soglia dei loro blog e delle loro pagine sui social network: ognuno dirà le sue ragioni. Ma mi metto avanti e dico che secondo me la cosa funziona: qualcuno ha delle cose importanti da dirci, e ci sono dei luoghi e delle tecnologie che gli consentono di farsi sentire. Ascoltiamolo.
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