IV Domenica di Quaresima – Anno B
In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo: [...] Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. [...]
Gesù disse a Nicodemo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce».
Quando l’amore è tanto grande straripa, non riesce ad essere contenuto, ristretto, chiuso in confini, fossero anche i confini fatti di pelle e muscoli dell’essere umano: fuoriesce dagli occhi, dalla bocca, dalle mani, persino il cuore sembra voler balzare fuori dal petto.
«Dio ha tanto amato il mondo», il mondo quindi, non solo l’uomo e la donna, ma anche la foresta, il mare, il ruscello, la montagna, la stella, il filo d’erba, il vento… E lo ama, questo mondo, a prescindere, senza alcuna condizione, senza restrizioni, come un dato di fatto, una base sicura da cui poter partire. A noi non resta che rispondere, non resta che credere in questo amore che trabocca.
Allora niente sarà perso: «Tu conti i passi del mio vagabondare, nel tuo otre raccogli le mie lacrime: tutto è scritto nel tuo libro» (Sal 56,9). È un Dio che tutto raccoglie, anche i miei passi perduti nei vicoli ciechi e nelle inutili scorciatoie, anche le lacrime di quando mi sento perso e incapace. Un Dio che silenziosamente mi segue e si china a recuperare ciò che per me è superfluo o inadeguato o vano. Perché niente e nessuno vada perduto: troppo preziose quelle lacrime, troppo importanti quei passi sbagliati.
Lui sa che io non sono solo il mio errore, che in me c’è un tentativo di risposta al suo amore, un timido slancio che nasce dal sentirmi comunque e sempre amato: solo questo Lui guarda. «Poiché se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1Gv 3,20). Nessun giudice, nessun tribunale e quindi nessuna condanna: perché il suo amore «tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,7).
Che bello pensare a un Dio più grande dei nostri sensi di colpa, che supera e copre le nostre vergogne, che non si ferma alle apparenze, ma guarda a quel piccolo, insignificante seme che ha messo in ognuno di noi e lo ama perché lo vede già cresciuto come un albero rigoglioso.
Nell’abbraccio del suo sguardo innamorato ognuno diventa così degno di essere salvato, come l’adultera tremante davanti a chi voleva lapidarla e il buon ladrone col suo ultimo guizzo di sincerità; come il pubblicano, tutto nel suo grumo di imbarazzo e l’audace emorroissa che s’inventa un gesto che Gesù chiamerà «fede». Ognuno con la sua luce negli occhi. Ognuno abbracciato di luce.
Lui ci conosce, sa bene di cosa siamo impastati e cosa ci abita, ma a chi è innamorato basta poco per dare tanto. Ed è come se dicesse all’orecchio di ciascuno: «Non ho bisogno di tempo/ per sapere come sei: conoscersi è luce improvvisa» (Pedro Salinas).
(Letture: 2Cronache 36,14-16.19-23; Salmo 136; Efesini 2,4-10; Giovanni 3,14-21)
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