Con il Covid, così come con tanti altri virus, dovremo abituarci a convivere. Questo ormai lo abbiamo capito. È indubbio, però, che sul piano collettivo la situazione sia profondamente mutata e la fine dello stato di emergenza ha sancito in termini istituzionali questo cambio di fase. Il merito è dei vaccini, dell'impegno di tanti operatori a ogni livello, ma anche del senso di responsabilità e dei sacrifici della stragrande maggioranza dei cittadini. Per questo, oltre che per il rispetto che si deve agli ormai oltre 160mila morti per Covid, è importante radicare la consapevolezza che in questi due lunghi anni gli italiani non sono stati sottoposti a una “dittatura sanitaria”, come pure è stato disinvoltamente sostenuto nel dibattito pubblico.
Riconoscere «la legittimità del modello di gestione dell'emergenza pandemica», come si è espresso il presidente della Corte costituzionale, Giuliano Amato, nella recente relazione annuale, non vuol dire ovviamente che non siano stati commessi errori, talvolta anche sul piano giuridico. Ma che la nostra democrazia nel suo complesso, a cominciare dalle sue istituzioni di vertice – il Parlamento, il Governo, il Presidente della Repubblica, la stessa Corte costituzionale – di fronte a una sfida epocale dai risvolti inediti non è venuta meno ai suoi connotati fondamentali.
Ripercorrere le principali decisioni della Consulta in questo ambito è un modo sintetico per raccontare la risposta delle istituzioni alla pandemia e il suo progressivo modularsi in rapporto ai problemi che via via emergevano sul campo. La sentenza n.37/2021 ha messo bene in chiaro come la Costituzione comprenda la profilassi internazionale tra le materie di esclusiva competenza statale e quindi ha affermato l'esigenza stringente di una disciplina unitaria nella gestione dell'emergenza sanitaria, a fronte di un procedere in ordine sparso delle Regioni, soprattutto nel primo periodo. La sentenza n.198/2021 ha sdoganato il ricorso agli ormai famosi dpcm, puntualizzando i termini del loro utilizzo «nei limiti di esercizio della discrezionalità amministrativa, nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità». Anche il green pass è finito davanti alla Corte, sia pure nella forma dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, per iniziativa di alcuni parlamentari che chiedevano di essere sottratti all'applicazione delle norme. Conflitti «chiaramente volti a sollevare, impropriamente, questioni di legittimità costituzionale» (Amato dixit) e dunque dichiarati inammissibili con una serie di ordinanze. Poco più di una settimana fa la Consulta si è pronunciata anche sulla quarantena obbligatoria per i positivi al Covid e sulle relative sanzioni penali in caso di violazione. «Non comportano alcuna coercizione fisica, sono disposte in via generale per motivi di sanità e si rivolgono a una indistinta pluralità di persone», ha stabilito la Corte dichiarando infondate le questioni sollevate dal tribunale di Reggio Calabria. In attesa del deposito delle motivazioni, il comunicato della Consulta ha spiegato che le misure esaminate incidono sulla libertà di circolazione (art. 16 della Costituzione) e non sulla libertà personale (art. 13). In altre parole non sono arresti domiciliari, per i quali sarebbe necessario un atto motivato dell'autorità giudiziaria. Almeno in Italia. Altrove, purtroppo, non sempre è così.
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