Quello che si celebrerà fra tre anni, nel 2025, sarà il 25º Anno Santo ordinario nella storia della Chiesa. Il primo Giubileo universale della Chiesa cattolica, come bisognerebbe correttamente chiamarlo, risale infatti al 1300, convocato da Bonifacio VIII, che ne stabilì la celebrazione ogni cinquant'anni. Sui precedenti gli storici sono discordanti per mancanza di documenti certi, ma si conservano tracce delle Perdonanze, anni in cui era possibile ottenere indulgenze che, sostanzialmente, possono essere considerati precursori degli anni santi. Nel 1475 Paolo II decise di dimezzare, da cinquanta a venticinque anni, l'intervallo tra i Giubilei, e da allora questo intervallo è rimasto invariato. Al computo generale vanno tolti quattro Giubilei, non celebrati per vicende politiche (l'ultimo fu quello del 1875, perché dopo Porta Pia il Papa si era autorecluso in Vaticano), e ne vanno aggiunti nove Straordinari, il più recente dei quali quello convocato da Francesco nel 2015, per il 50º anniversario della conclusione del Concilio Vaticano Il. Quella degli anni santi è una vicenda, come si può immaginare, ricca di storia, aneddoti, curiosità. Una storia, ha scritto Papa Francesco nella lettera indirizzata a monsignor Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, proprio in vista del prossimo anno giubilare, che ha sempre visto il popolo di Dio vivere tale celebrazione «come uno speciale dono di grazia, caratterizzato dal perdono dei peccati e, in particolare, dall'indulgenza, espressione piena della misericordia di Dio».
Se il Grande Giubileo dell'anno 2000 ha introdotto la Chiesa nel terzo millennio della sua storia, il prossimo sarà segnato anche dalla pandemia che ancora stiamo vivendo, e che si spera completamente superata fra tre anni. Una pandemia che ha interessato tutto il mondo e «che, oltre ad aver fatto toccare con mano il dramma della morte in solitudine, l'incertezza e la provvisorietà dell'esistenza, ha modificato il nostro modo di vivere». E durante la quale tutti hanno sperimentato non solo la limitazione della libertà, ma anche il dubbio, la paura e lo smarrimento. E mentre «abbiamo piena fiducia che l'epidemia possa essere superata e il mondo ritrovare i suoi ritmi di relazioni personali e di vita sociale, questo sarà più facilmente raggiungibile nella misura in cui si agirà con fattiva solidarietà, in modo che non vengano trascurate le popolazioni più indigenti, ma si possa condividere con tutti sia i ritrovati della scienza sia i medicinali necessari».
Per questo, allora, dobbiamo «tenere accesa la fiaccola della speranza che ci è stata donata, e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante». In tal modo, «il prossimo Giubileo potrà favorire molto la ricomposizione di un clima di speranza e di fiducia, come segno di una rinnovata rinascita di cui tutti sentiamo l'urgenza. Per questo ho scelto il motto Pellegrini di speranza. Tutto ciò però sarà possibile se saremo capaci di recuperare il senso di fraternità universale, se non chiuderemo gli occhi davanti al dramma della povertà dilagante che impedisce a milioni di uomini, donne, giovani e bambini di vivere in maniera degna di esseri umani. Le voci dei poveri siano ascoltate in questo tempo di preparazione al Giubileo che, secondo il comando biblico, restituisce a ciascuno l'accesso ai frutti della terra». Facciamoci tutti portatori di questa speranza.
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