Da quando ha lasciato gli incarichi istituzionali,
Mario Draghi è tornato a dosare con estrema cautela i suoi interventi pubblici, a selezionare le occasioni e a soppesare ogni singola parola che pronuncia. Proprio com’era accaduto al Meeting di Rimini del 2020, quando - da ex presidente Bce - aveva parlato di debito buono e cattivo, un mantra poi entrato nell’immaginario collettivo (e ciononostante ignorato dai decisori).
Chissà se ricorderemo con la stessa chiarezza quanto ha detto giovedì sera a Washington (ne abbiamo scritto venerdì su Avvenire),
dove è stato insignito del prestigioso premio Volcker alla carriera. Da un palcoscenico americano, Draghi ha dato una nuova sferzata all’Europa, ribadendo la necessità di una maggiore coesione a tutti i livelli, compreso quello del debito comune (di cui avevamo peraltro parlato su Zerovirgola un mese fa) per favorire gli investimenti senza gravare sui bilanci dei singoli Paesi. Più delle conclusioni, però, ci ha colpito un inciso tanto ovvio quanto dimenticato: «Anche i più duri isolazionisti in Europa devono rendersi conto che ogni Paese è troppo piccolo da solo», per potersi salvare - aggiungiamo noi - dalla condanna alla marginalizzazione.
E arriviamo ai numeri. La considerazione socio-statistica di Draghi ci ha spinto a rispolverare un utile strumento di Eurostat, che sul proprio sito (https://ec.europa.eu/eurostat/web/interactive-publications/demography-2023) ha messo a disposizione un grafico dinamico per calcolare le proiezioni demografiche in Europa lungo tutto il secolo in corso; l’Unione europea nel suo complesso è destinata a veder passare i suoi abitanti dai 446,7 milioni del 2022 ai 419,5 milioni del 2100, ma l’emorragia sarà concentrata in alcuni Paesi come Italia (da 59
a 50,2 milioni), Grecia (da 10,5 a 7,3), Spagna (da 46,4 a 45,1), Portogallo (da 10,4 a 9), con prove di non scontata resilienza da parte di Germania (da 83,2 a 84,1) e Francia (stabile intorno ai 68 milioni).
Il declino demografico è un fenomeno così noto da ritrovarsi forse anche troppo metabolizzato, ma queste cifre ce ne ricordano l’urgenza. Anche perché è bene ricordare due cose: le previsioni di Eurostat sono più ottimistiche di altre, e mentre l’Europa di qui al 2100 perderà circa il 5% della sua popolazione, nel mondo continuerà a lievitare, proiettata dagli oltre 8 miliardi attuali fino a quota 11 miliardi. E già abbiamo perso molto terreno: nel 1950 quattro dei 10 Paesi più popolosi erano in Europa (Russia, Germania, Regno Unito e Italia), oggi è rimasta solo la Russia e nel 2100 le prime dieci posizioni saranno appannaggio di Asia e Africa, con la sola eccezione degli Stati Uniti.
Certo, non sono solo gli abitanti a rappresentare l’incidenza reale di una singola area sul globo. Ma
la direzione è inequivocabile e per un’Unione europea destinata - come tale - a veder ridimensionato il proprio peso dal 5,5% attuale degli abitanti a un ben più misero 3,8%, dovrebbe far pensare al rischio evidente di un’emarginazione che dalla demografia è destinata a scalare su altri piani ben più rilevanti. Figuriamoci se, come ricordava Draghi, dovessero proprio in Europa
ritrovare vigore i desideri isolazionisti. O se alla Casa Bianca dovesse davvero tornare Donald Trump, con il suo progetto di smontare addirittura la Nato e isolare ancora di più l’Europa.
Pronunciato proprio a Washington, nel discorso dell’ex Presidente del Consiglio non è stato difficile individuare messaggi chiari per le due sponde dell’Atlantico. Su tutto, però, resta la domanda: dove credono di andare, da soli, questi Paesi sempre più piccoli?
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