martedì 1 aprile 2014
Una domenica mattina. Silenziosa la casa: dormono tutti. Mi ha svegliato un tonfo soffice sul letto, e poi dei passi, sì, dei passi leggeri e disinvolti sul mio petto. Il gatto rosso, dei nostri gatti il più sfacciato, fa presente che sarebbe ora di colazione. Mi alzo, vado in cucina,riempio le ciotole, torno a letto. Cinque minuti dopo, plonf, il tonfo, di nuovo. Il gatto rosso è tornato: sfamato, la lingua che passa e ripassa soddisfatta sui baffi, pare volermi dire: vedi? Sono di nuovo qui, per puro affetto. E strofina il muso sulle mie guance, erompendo in fragorose fusa. Lo sollevo sopra di me e lo considero con tenerezza: quattro chili, forse, di gatto, occhi d'oro, fulvo come una volpe, solo le zampe e la punta della coda bianca – che, dritta come uno stendardo, gli conferisce un che di petulante. E me ne sto così con il gatto in braccio, sfiorando con un dito la punta delle sue candide vibrisse; che subito si inclinano, delicate come antenne gentili. Muovo un piede sotto le coperte: vedo le sue pupille farsi tonde, le zampe contrarsi, pronte al salto, il corpo teso come quello di una tigre nella giungla quando passa un branco di gazzelle. Il gatto fa un balzo e si avventa sulla presunta preda, azzanna, morde – io precipitosamente ritiro il piede. Lo acciuffo per la collottola: e la mia tigre in un attimo ridiventa dolce e mansueta.Ora gli apro la porta del balcone, nella mattina frizzante. Lui, subito, si precipita a esplorare il terrazzino – la coda, adesso, a ricciolo, come un punto di domanda. Annusa ogni angolo scrupolosamente, poi a un battito d'ali si blocca, le pupille in un istante strette a fessura: immobile guata un passero che è già volato via. Senza alcuno sforzo, le zampe flessuose come molle, salta su un tavolino; e se non ci fosse una rete sarebbe già sui tetti, a sfidare la gravità da consumato equilibrista.Semplicemente un gatto, un comune gatto di grondaia trovato, piccolo, davanti a una stalla, in montagna. Pagato niente, come fosse una cosa da nulla. Eppure, come è bello, e come ogni particolare in lui è perfetto. Gioco con una zampa, premendo i polpastrelli da cui si sguainano, nascosti e affilati, gli artigli. Nel silenzio della domenica mi accorgo che sorrido: grata di un gatto, della sua bellezza, del piccolo compagno che mi segue con i suoi passi felpati, ombra gentile. (Se qualcuno, mi dico, avesse voluto farmi un regalo, non avrebbe potuto trovare niente di più bello di questo gatto rosso, bestiola da nulla, ferina e dolce, che ogni giorno mi incanta: chiare in lui, eppure misteriose, le tracce di un formidabile "intelligent design").
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