Chi avesse navigato nelle scorse ore tra siti e blog d'ispirazione cristiana si sarebbe imbattuto, tra le altre, in due storie parallele. Quella di don Jerzy Popieluszko, su "Acistampa" ( bit.ly/2Vecwy0 ), è la più popolare. Sacerdote polacco, 37 anni, mentre appoggiava le agitazioni degli operai contro il regime e rivendicava per il suo popolo la libertà dall'oppressione comunista, dopo ripetute minacce fu rapito da funzionari governativi, selvaggiamente picchiato e infine gettato, ancora vivo, nella Vistola. Accadde nel 1984, e la notizia fece il giro del mondo. Nel 2010 è stato procamato beato. Se ne parla perché, nell'imminenza del 35° anniversario della morte, esce da San Paolo un libro su di lui, di Cesare G. Zucconi.
Di certo meno popolare, anche senza misurare le ricorrenze su Google, la storia di padre Ezechiele (Lele) Ramin, che trovo rievocata da "Famiglia Cristiana"-"Credere" ( bit.ly/2VgwUyx ). Missionario comboniano, 32 anni, inviato in Amazzonia mentre sognava l'Africa, si espose a sostegno dei diritti degli indigeni e dei contadini; anche lui più volte minacciato, cadde in un'imboscata, massacrato dai proiettili dei pistoleiros assoldati dai latifondisti. Era il 1985. Dal 2016 è in corso la causa di beatificazione e ora, nell'imminenza del Sinodo panamazzonico, 200 vescovi brasiliani l'hanno appoggiata con una lettera a papa Francesco. Se sottolineo la loro contemporanea (ri)comparsa davanti all'opinione pubblica ecclesial-digitale non è però per segnalarne l'apparente condizione di vittime di "opposti estremisti", bensì per cogliere come essi, pressoché coetanei, negli stessi anni, stavano dalla stessa parte sociale, armati solo della stessa Parola. Sono dunque testimoni dell'unità della Chiesa nella pluralità delle situazioni storiche in cui i cristiani si trovano a operare. Martiri per la stessa speranza: che «giustizia e pace si baceranno».
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