Non è una comunità “cristiana” in senso stretto, quella delle persone con le quali sono in rapporto anche, o solo, tramite i social network, anche se è fatta di cristiani per la maggior parte. Si direbbe piuttosto un incrocio tra una famiglia ampliata ben oltre i legami biologici e una megaredazione, dove però i giornalisti “religionisti” sono maggioranza e non, come di solito, minoranza. E forse non è neppure una “comunità”, nel senso che rappresenta, a ben vedere, la somma di singoli amici e/o di cerchie che non hanno legami tra di loro.Sta di fatto che costoro si sono dati convegno digitale, l'altro giorno, per farmi gli auguri di compleanno. Niente di strano. È Facebook, si sa, che convoca gli “amici” intorno al festeggiabile di turno: uno, due o tre avvisi al giorno, a seconda di quanti contatti abbiamo. Penso che Mr. Zuckerberg non abbia un'intenzione solo filantropica nel fornire questo servizio, e ho guardato con sospetto, senza condividerla, la videotorta-riassunto degli auguri che mi ha proposto il giorno dopo: non esageriamo con le autocelebrazioni.E tuttavia confesso che “tanti auguri” mi hanno fatto piacere. Di più, mi hanno tenuto caldo il cuore, dopo che mia moglie e i miei figli l'avevano portato “in temperatura” facendomi tanta festa. E mi sono sentito grato a tutti: a chi si è industriato per postare una frase più personale e a chi no, a chi ha preferito la chat, a chi si è fatto vivo su Whatsapp, o ha speso qualche cent di sms, o si è concesso un'email, o infine ha scelto una telefonata, il social media di una volta... Sarà perché nel gruppo conto un po' di suore e preti, e ci è scappata anche qualche benedizione; sarà perché tra gli altri amici non pochi risalgono alle parrocchie che ho frequentato; sarà perché i giornalisti religionisti spesso sono anche religiosi. Sta di fatto che la fraternità che ho avvertito mi è sembrata fresca di Vangelo. Me lo ricorderò, se domani Facebook mi intimerà di fare gli auguri a qualcuno e io non ne avrò voglia.
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