Se l'algoritmo decide di soddisfare il pubblico
venerdì 26 luglio 2019
Lo chiamano deep learning, cioè apprendimento profondo. Negli ultimi anni, ha fatto passi da gigante. Viene usato in svariati campi e per usi diversi. Grazie al deep learning, per esempio, app e programmi identificano un oggetto o una persona tra migliaia analizzando un numero infinito di immagini e di video. Una pratica, quest'ultima, già di uso comune in molti Paesi e che conosciamo applicata alla sfera della sicurezza e delle indagini grazie anche a film e telefilm polizieschi. Sempre grazie al deep learning, per esempio, ogni investitore pubblicitario è in grado di calcolare quanto una sua sponsorizzazione o una pubblicità a bordo campo ha fruttato durante una partita di calcio. Un sistema messo a punto in Italia da Eco della Stampa e denominato "Logo detection" riesce a rilevare le immagini dei loghi delle aziende in ogni trasmissione video, quantificare la loro presenza per spazio occupato, per secondi di esposizione, per posizione sullo schermo e per tipo di supporto (trasmissione tv, diretta streaming su tv o su cellulare, video su YouTube o su altra piattaforma e così via) incrociare tutti questi dati con i risultati di ascolto rilevati da Auditel e con quelli pubblicitari fornendo al cliente l'esatta valutazione della sua sponsorizzazione in un determinato evento.
Per le aziende che investono negli eventi sportivi (e non solo in quelli) è una notizia fantastica perché permette loro di spendere in maniera sempre più precisa i soldi destinati alla pubblicità. Per noi utenti, invece, le cose potrebbero essere meno entusiasmanti di quello che appaiono. Perché questo tipo di analisi profonde piano piano stanno invadendo molti aspetti delle nostre vite. E analizzano non solo i nostri movimenti, le nostre espressioni e le nostre azioni ma anche ciò che scriviamo, leggiamo, ascoltiamo e vediamo e quindi, di fatto, ciò che "impariamo" e "pensiamo".
Niente sfugge alle analisi digitali. Che sia una pagina di libro, un articolo, una porzione di un eBook, di una serie tv o di un film tutto viene tracciato. Persino quali parti abbiamo saltato (o dopo le quali abbiamo abbandonato quel contenuto) e quali ci hanno intrigato di più.
Ci sono politici che cambiano anche nel corso di una giornata le proprie idee su determinati argomenti dopo avere avuto le analisi in tempo reale degli umori social dei propri elettori. Il sistema analizza ogni aspetto delle nostre vite. Chi siamo, dove andiamo, cosa facciamo, cosa mangiano, cosa compriamo, cosa pensiamo e – sempre di più – come stiamo dal punto di vista fisico.
È un mondo in crescita esponenziale e che non si ferma. Per questo ci impone alcune domande. Per esempio: cosa può produrre una politica che insegue e asseconda gli umori della piazza digitale, cavalcando ogni giorno una polemica, vera o montata ad arte? E quale crescita culturale può scaturire da un sistema dove sono e saranno sempre di più programmi basati sul deep learning a decidere cosa pubblicare e cosa escludere in un giornale, un programma tv, un libro, un film, azzerando di fatto qualunque scelta etica, morale e "politica", nel senso più nobile del termine, prodotta da centinaia di anni da menti umane "analogiche"? Gli ottimisti vi diranno che le macchine saranno così brave ad analizzare le persone che, se programmate al meglio, sapranno continuare a fare anche scelte etiche e di peso, senza inseguire gli umori delle piazze. Eppure se pensiamo a come l'auditel e le analisi del traffico digitale hanno modificato in peggio certa tv e certa informazione web, spingendola sempre di più verso l'emotività, il sensazionalismo e la superficialità c'è poco da stare allegri. Perché la vera domanda non è come soddisfare il pubblico ma un'altra. E cioè: quanto l'informazione, la tv, la letteratura, il cinema e l'arte hanno anche il dovere di osare e di andare a volte contro corrente per farlo crescere senza null'altro calcolo che il bene comune?
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