Il governo Draghi è nato e ha giurato con consegna di silenzio. La comunicazione si sposta a valle e, non a monte, del proprio lavoro. Si dice che alcuni Ministri, soprattutto quelli politici, abbiano scoperto di essere titolari del dicastero quasi in diretta, al momento della lettura della lista da parte del nuovo Primo Ministro. Tutto apprezzabile e certamente all'insegna della discontinuità rispetto alla narrazione dei due governi precedenti. Sarà che l'anima "tecnica" porta prima ad agire e poi a parlare, sta di fatto che l'indicazione è chiara e lo stesso Premier si è sentito poco dal momento dello scioglimento della riserva. C'è però un Ministero di cui non si è parlato... poco. Proprio non se ne è parlato affatto. Il Ministero che non c'è, è quello allo Sport, il cui paradosso è di sparire proprio nell'anno di difficoltà più epocale della storia dello sport dal dopoguerra.
Un mondo letteralmente stremato da una situazione mai verificatasi prima (e chi segue questa rubrica sa che non mi riferisco certamente alle discipline di vertice o agli sport professionistici) percepisce, ancora una volta, la propria dignità cancellata. Si sono lette tante interpretazioni, tanti giudizi sul Ministro precedente, sui rapporti complicati con il Coni, sulla necessaria indipendenza del mondo dello sport rispetto alla politica. Io voglio portare all'attenzione un solo tema, uno soltanto. Come noto arriverà molto denaro nel nostro Paese, grazie al Recovery Fund. Denaro che andrà investito nel modo migliore, possibilmente per generare un valore capace anche di garantirne la restituzione all'Europa. Immagino agirà in questo modo il governo tecnico, anzi sembrerebbe essere stato scelto proprio per questo scopo e agirebbe nello stesso modo qualsiasi buon padre di famiglia.
E perché allora cancellare un Ministero che potrebbe orientare parte di quel denaro verso progetti destinati allo sviluppo della di quella che mi piace chiamare "cultura del movimento"? Questa "cultura del movimento" (modo nobile di chiamare lo sport) come dimostra la letteratura scientifica sarebbe capace di generare un risparmio al Servizio Sanitario Nazionale che triplicherebbe o quadruplicherebbe gli investimenti, grazie alla prevenzione e al controllo di pandemie come l'obesità, le patologie cardiovascolari, il diabete o la depressione.
Lo sport, sarebbe bene chiarirlo, è principalmente la capacità di prendersi cura di sé, difendere il proprio diritto alla salute e garantire il diritto alla salute della nostra comunità, incidendo di meno sulla spesa pubblica, qualunque sia la propria età e il proprio talento. Lo sport, vero diritto/dovere, è un farmaco e insieme uno strumento per ridisegnare le nostre città in termini di qualità della vita, rispetto dell'ambiente, mobilità, economia circolare. Lo sport è quella cosa che ha a che fare, quotidianamente, con la vita di decine di milioni di nostri connazionali e poi, soltanto poi, è anche quel sentimento che ci spinge a tifare una squadra o a godere di uno spettacolo allo stadio, in un palazzetto o, come da un anno a questa parte, alla televisione. Se, tuttavia, neanche nell'occasione in cui un Governo viene chiamato proprio a prendersi cura di investimenti che determineranno il futuro del Paese, non si riconosce questa dignità allo sport, forse siamo definitivamente fuori tempo massimo.
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