«Google ha penalizzato i siti web di notizie». Quello che scrive Press Gazette, la testata inglese dedicata al mondo dei media e del giornalismo, fa pensare. Secondo una ricerca della società indipendente Sistrix, «nel 2022 i siti web d'informazione hanno registrato un calo significativo della loro importanza nei risultati di ricerca di Google». Cioè, i propri contenuti con notizie sono stati declassati nelle ricerche di Google. È un fatto importante perché, come abbiamo imparato usando i motori di ricerca, per ottenere attenzione e visite ai siti è fondamentale che nei risultati di ricerca i contenuti creati appiano nelle prime posizioni.
Lo studio riguarda i siti d’informazione di lingua inglese e il mercato anglosassone, ma viene facile pensare che il problema sia molto più ampio e che possa riguardare anche l’Italia. L'analisi rivela che ben «45 dei 68 siti di notizie presi in considerazione si sono classificati peggio rispetto all’anno prima».
La questione è molto seria e non riguarda solo gli editori e i giornalisti, ma anche i lettori e tutti coloro che hanno a cuore la democrazia. Per farci capire l’importanza della cosa, i due siti più penalizzati in Gran Bretagna, hanno registrato un calo di visibilità delle ricerche del 61% e del 60%. Si tratta di mylondon.news e di irishtimes.com. In Italia pochi li conoscono, il che potrebbe portarci a pensare che la questione sia tutto sommato marginale. Ma scorrendo l’elenco pubblicato da Press Gazette, le cose si fanno molto più allarmanti. Perché a perdere porzioni importanti di visibilità nelle ricerche di Google sono state anche testate molto famose di lingua inglese come l’Economist (meno 50%), The Sun (meno 48%), al-Jazeera (meno 41%), Huffington Post (meno 38%), The Guardian e Washington post (entrambi meno 36%), Usa Today (meno 35%) e New York Times (meno 31).
La ricerca è lunga e articolata. Per cui non vi annoiamo con particolari troppo tecnici (se siete interessati, potete leggere l’originale a questo link). Merita però sottolineare altri punti. Il primo è che il sito di informazione più penalizzato è stato quello del giornale Guardian. C’è un secondo dato che fa riflettere. In questo ultimo anno, altri siti di informazione hanno registrato performance in crescita. Il miglior guadagno in assoluto l’ha registrato il sito economico di Forbes, che è passato dal quinto al terzo posto tra le testate di notizie meglio classificate. Anche il servizio di Google che aggrega notizie (Google News) è cresciuto (del 13%) e così l’aggregatore di Microsoft (Msn.com) che ha registrato un balzo del 38%.
A questo punto viene facile pensare: com’è possibile sostenere che i siti di notizie siano stati penalizzati nelle ricerche di Google visto che alcuni sono addirittura cresciuti? Spiegano i ricercatori: «ciò che ha fatto crescere alcuni siti sono stati contenuti non giornalistici come giochi, ricette o servizi di consulenza come quello lanciato da Forbes e denominato Forbes Advisor». Resta una domanda. La domanda più importante: perché Google avrebbe penalizzato nelle sue ricerche il modo in cui appiano le notizie dei siti di informazione? Le risposte possibili sono tre. La prima: Google l’ha fatto per dimostrare che le notizie sono sempre meno importanti per lei e che quindi i soldi che gli editori le chiedono per lo sfruttamento delle stesse sono esagerati se non fuori luogo. La seconda: il calo è avvenuto casualmente per via di un aggiornamento dell’algoritmo che fa funzionare il motore di ricerca. Per quello che vale, temo sia un mix delle due cose. Una cosa appare certa: anche questa vicenda ci dimostra che i servizi dei giganti digitali non sono neutri. E chi li comanda, di fatto, ha un potere enorme. Su tutti noi.
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