Ci sono snodi istituzionali la cui importanza decisiva per la vita del Paese non trova adeguato riscontro nel dibattito politico-mediatico e di conseguenza anche nell'opinione pubblica. Uno di questi riguarda i cosiddetti decreti attuativi, termine con cui vengono complessivamente denominati i provvedimenti necessari a rendere applicabili le leggi approvate dal Parlamento. Si tratta prevalentemente, ma non solo, di decreti ministeriali o interministeriali. Il paradosso è che nella prassi italiana le leggi tendono ormai sistematicamente a rinviare la loro effettività a tali ulteriori misure che però vengono emanate con molto ritardo (quando vengono emanate...), al punto da ridurre o in alcuni casi vanificare del tutto l'efficacia delle leggi medesime. Un esito perverso che si amplifica se a ritardare sono i provvedimenti attuativi previsti dalle leggi di conversione dei decreti-legge, atti che secondo la Costituzione dovrebbero essere adottati solo in caso di necessità e urgenza.
Purtroppo il problema ha ormai carattere strutturale e a ben vedere chiama in causa anche l'instabilità politica e il continuo avvicendarsi dei governi. Non è neanche circoscrivibile al pur rilevante impatto che la pandemia ha avuto sull'attività legislativa e di governo. Lo dimostra, tra i tanti, un dato eloquente: a luglio dello scorso anno risultavano ancora da pubblicare 341 decreti attuativi risalenti alla passata legislatura, quella che si è conclusa nel marzo 2018. Altro Parlamento, altre maggioranze, altri esecutivi, Covid ancora sconosciuto. Per stare alla presente legislatura, la relazione illustrata a fine aprile in Consiglio dei ministri dal sottosegretario alla presidenza, Roberto Garofoli, documentava che al momento dell'insediamento del governo Draghi erano 679 i provvedimenti attuativi da adottare, sui 1.135 previsti dalle leggi varate in precedenza. Dopo i primi due mesi e mezzo di attività del nuovo esecutivo si registrava una riduzione dell'11,9%. Un buon segnale, ma insufficiente rispetto alle dimensioni del problema. Con l'avvio della stagione del Pnrr e della sua attuazione - impresa colossale già di per sé - non si può correre il rischio che il sistema si ingolfi per il gravame degli arretrati. Così il premier ha suonato la carica e nel Consiglio dei ministri di dieci giorni fa ha presentato un nuovo metodo operativo: assegnazione di target mirati di decreti da emanare per ogni branca dell'amministrazione e costituzione in ogni Ministero – con il coordinamento di Palazzo Chigi – di nuclei per l'attuazione del programma di governo, con il compito specifico di smaltire il pregresso e di accelerare i nuovi adempimenti. Garofoli ha già iniziato il giro dei Ministeri, cominciando dal cruciale dicastero dell'Economia, e ha incontrato anche il presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia, e il presidente del comitato per la Legislazione, Stefano Ceccanti. Se da un lato, infatti, occorre velocizzare le procedure di tipo burocratico-amministrativo, dall'altro bisogna intervenire alla radice, quindi sul modo in cui vengono scritte le leggi, che dovrebbero essere il più possibile auto-applicative quando non sia l'oggettiva complessità della materia a esigere il ricorso a decreti attuativi. Una sfida che per il funzionamento delle nostre istituzioni vale quanto una grande riforma.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: