Con la sapienza che gli viene riconosciuta, sant’Agostino ricorda che «né il nostro timore, né il nostro amore sono stabili e sicuri». Il suo punto di partenza è l’imperfezione delle valutazioni che noi facciamo, così spesso incapaci di andare al di là di uno sguardo inconsapevolmente approssimativo o anche del tutto errato, relativamente a persone, avvenimenti e cose. «Quale uomo infatti è in grado di giudicare?». La domanda dell’autore delle Confessioni merita di diventare oggetto della nostra riflessione. È una briciola di saggezza offerta ai nostri discorsi forse troppo assertivi, alle nostre considerazioni probabilmente troppo sicure di sé, alle nostre quotidiane sentenze che si lasciano andare a un tono implacabile e ferreo, anche quando mascherato con i tic giudiziosi della buona educazione. La verità è che facciamo fatica a discernere e, per dirlo senza mezzi termini, vederci chiaro non è una delle nostre qualità più immediate. Per altro verso, nemmeno la vita resta lì immobile ad aspettare di essere fotografata dal nostro giudizio: è mobile, in perpetua mutazione, attraversa stagioni diverse, si lascia meglio raccontare con le virgole che con frettolosi punti fermi. Nella Prima lettera ai Corinzi san Paolo scrive che «ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa» (1Cor 13,12), e aveva ragione. Rendercene conto ci aiuta a entrare nella scuola dell’umiltà.
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