Siamo stati cacciatori-raccoglitori per tanto tempo, di fatto nomadi. A un certo punto cambia tutto: inventiamo l’agricoltura, ci fermiamo, costruiamo città e innalziamo templi. Ma le ultime scoperte fatte in Anatolia orientale, stando almeno a Sapiens - Un solo pianeta (sabato scorso in prima serata su Rai 3), ci dicono che dobbiamo rileggere quella storia dell’umanità secondo una chiave di lettura in cui il senso del sacro e dell’appartenenza prendono in qualche modo il sopravvento. Insomma, gli uomini si sarebbero sedentarizzati prima di inventare l’agricoltura e avviare la pastorizia. Di conseguenza la società più complessa non sarebbe nata da un collante economico, bensì da un’idea religiosa condivisa. Lo dimostrerebbero ritrovamenti archeologici come quello di Göbekli Tepe, nell’odierna Turchia al confine con la Siria, dov’è venuto alla luce il tempio più antico del mondo, risalente a 11 mila 500 anni fa. Il che vorrebbe dire che i templi hanno preceduto le città e l’organizzazione sociale. In poche parole Göbekli Tepe sarebbe la dimostrazione materiale che il bisogno di Dio è connaturato con l’uomo e che in quell’epoca è avvenuto il passaggio tra il vecchio e il nuovo mondo. È dunque una tesi interessante quella proposta, sia pure laicamente, dal conduttore di Sapiens, Mario Tozzi, geologo e divulgatore, che in questa seconda puntata della sesta stagione sembra spostare l’attenzione dalla salvaguardia del «solo pianeta» (quello di cui parla il titolo del programma e i cui equilibri sono spesso sconvolti da quei «sapiens» di cui ancora dice il titolo), a una ricerca più diretta sulla storia dell’uomo, cercando come sempre, con parole e numeri, di dare forza didascalica alle sue affermazioni. Dopo di che si possono condividere o meno i messaggi, ma qualcosa da questi programmi di divulgazione scientifica e ambientale s’impara sempre.
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: