«Eregalare a piene mani oceani / Ed altre, ed altre onde ai marinai in servizio /Fino a scoprire ad uno ad uno i vostri nascondigli/ Senza rimpiangere la mia credulità». Sono versi di Amico fragile di Fabrizio De Andrè. Mentalmente ho riascoltato questa poesia in musica mentre leggevo il momentaneo, spero, annuncio del ritiro dalle scene musicali del giovane e simpatico Sangiovanni. Dopo la sbornia sanremese si è svegliato ancora più triste e solitario e ha annunciato con il cuore in mano che non intende proseguire il suo viaggio dal carrozzone della routine del cantar leggero. È un milanista abituato a vincere, ma a fargli prendere la decisione non è stata l’ultima sconfitta sanremese. Finire al penultimo posto della classifica di Sanremo, a 21 anni, lui lo sa, potrebbe essere anche una medaglia da appendere ai suoi maglioni. È’ già successo a illustri star nazionali del calibro di Vasco Rossi e Zucchero. No, la sua struggente e autobiografica Finiscimi , cantata a Sanremo, è stato il primo atto di una volontà di fuga perché
«ho capito che essere se stessi e dire la verità è importante, bisogna accettare quello che si è... A volte bisogna avere il coraggio di fermarsi», scrive il saggio Sangio. Sono parole che manifestano un profondo disagio, un senso di vuoto che purtroppo è comune a tanti millennial come lui. Il giovane che finisce sotto i riflettori, che sia un palco o un campo di calcio, diventa inevitabilmente la vittima sacrificale di uno showbiz crudele, che fa pressing costante, che alza continuamente l’asticella delle aspettative e che valuta tutto secondo le logiche del mercato. Più like hai sui social, più streaming ottieni e più sei un Big. Altrimenti, sei un signor nessuno che può anche appendere microfono e scarpini già a vent’anni. Tutto questo è molto triste. Però uno, a vent’anni, quel vuoto che ha dentro lo può riempire in mille modi e sicuramente una via d’uscita resta quella di una preparazione culturale che nel tempo si può trasformare nel più intelligente dei piani B. Settimana scorsa avevamo parlato dello juventino Nicolussi Caviglia che al professionismo calcistico unisce la passione per i libri e la lettura. Dalla vicina sponda del Torino gli fa eco il difensore granata Adam Masina, classe 1994, nato in Marocco e cresciuto a Bologna, il quale in una delle solite e noiose conferenze stampa prepartita ha svariato dal campo ai ricordi di scuola. «Ho frequentato il liceo scientifico salesiano a Bologna, ho avuto un professore che mi ha trasmesso la passione per la filosofia. Tutti magari portavano la classica tesina di storia, molto basica, invece ho preferito fare la tesina su Schopenhauer, sul dualismo tra anima e corpo. Questi insegnamenti cerco di portarli al calcio, insieme agli insegnamenti di mio padre e quello che ho imparato con lo studio». Dal vuoto di questi giorni, Sangiovanni leggendo Schopenhauer imparerà che, a volte, «nel mondo non si ha altra scelta che quella tra la solitudine e la volgarità».
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