Nella chiesa del Santissimo Salvatore, conosciuta anche come quella dei “disperati”, a Bergamo alta, c’è uno dei più bei dipinti di Giambattista Tiepolo: San Giuseppe col Bambino. Tutte le volte che vado in questa città, a cui sono legato da un legame profondo, non manco di rendere omaggio al padre putativo per antonomasia, filtrato nello sguardo del supremo artista veneziano, col quale finisce il mondo antico senza alcun preannuncio di quello nuovo. Mi piace lo sguardo del vecchio falegname, partecipe e trasognato, mentre, seduto sul panchetto, tiene in braccio il bambino già frenetico e scalpitante: al tempo stesso figlio suo ma non soltanto. Nell’indicibile tenerezza di Giuseppe, così come la rievoca Tiepolo lasciando intravedere sullo sfondo un muro grigio e un cielo minaccioso, ritrovo il carattere distintivo dell’educatore, pronto a prendersi cura di una creatura diretta altrove. E immagino le parole del padre terreno al figlio celeste: io non verrò con te ma faccio in modo che tu vada dove sei destinato: ti abbraccio sapendo di doverti, in un futuro nemmeno troppo lontano, abbandonare. Perché sono spinto a compiere un’azione così palesemente a fondo perduto? Ho scelto di farlo, liberamente, nella speranza di affermare e custodire il principio di umanità che tu incarni.
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