La sala d'attesa di un ospedale milanese. Ridipinta di fresco - purtroppo in un verdino livido, color di malattia. Qui sono specializzati in malattie ai polmoni. Chi esce lacera con dita impazienti la busta del referto, si ferma a leggere il verdetto.
Seduta ad aspettare c'è gente di una certa età. Molti sono soli. Una donna poggia la testa su una spalla del marito. Tutti tacciono. Un'infermiera chiama, quando è l'ora.
Stamattina siamo qui noi due. Lui ha la tosse, e fuma tanto. Fissando il muro verdino ho tutto il tempo per pensare. A questi anni. Da quel giorno in chiesa in cui era un ragazzo magro, e così pallido, al momento del sì. Al viaggio di nozze in Irlanda, sulle scogliere, e alle tempestose isole Aran. Lui ogni volta accanto, mentre partorivo. Tre bambini, a riempirci la vita. Ma, anche, quante malattie, e ospedali. E quante liti, e parole che vorresti non avere detto. Ventisette anni dopo, ci vogliamo bene davvero. (Ci vuole una vita, per volersi davvero bene). Quel muro nudo davanti agli occhi, mi fa male.
Chiamano. La dottoressa ha i capelli grigi. Legge esami e referti, lenta, pignola. Io sento in gola il pulsare del cuore. Lei alza gli occhi, esita. Poi: «Per sicurezza, facciamo altri esami». Usciamo, zitti. Come una nuvola, che passi davanti al sole. In metrò stringo la sua mano.
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