Per cogliere al meglio i testi sacri che la tradizione cristiana ci farà di nuovo rileggere lungo questa che è la più santa delle settimane, è importante tener presente che essi furono scritti quando Gesù era totalmente insignificante per il mondo e per la cultura. Noi, oggi, interpretiamo queste narrazioni a partire dalla referenzialità storica che Gesù è andato acquistando in questi duemila anni. Ora, quando i discepoli cominciarono a raccontare il destino di Gesù, con il desiderio di preservarne la memoria e di comprenderla meglio, nessuno, eccetto loro stessi, gli attribuiva la minima importanza. In nessun angolo del vasto Impero romano Gesù godeva di qualche considerazione, né era ricordato o in qualche modo presente. Le vite raccontate da Plutarco o da qualsiasi altro cronista secondario erano infinitamente più grandi della sua vita dimenticata. I suoi stessi seguaci non avevano la certezza che quell'esistenza potesse interessare qualcuno al di là della cerchia di persone che avevano vissuto la sua morte, in un misto di naufragio e di speranza irriducibile. Ma ciò che appariva insignificante per il mondo aveva acquisito per loro un significato incalcolabile. Nell'avventura storica cui la comunità dei credenti stava dando inizio, Gesù emergeva con chiarezza crescente come decisivo motore di senso e protagonista di una bellezza capace di rifondare la nostra umanità. È questa la buona notizia che la presente settimana ci sfida a (ri)scoprire.
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