I sacerdoti titolari di due pensioni - in genere una pensione statale e la pensione del Fondo Clero - subiscono una riduzione della pensione sacerdotale di ben un terzo dell'importo spettante. La decurtazione è imposta dall'art. 18 della legge n. 903 del lontano 1973. L'Inps applica in modo automatico questa disposizione, a partire dal momento in cui si realizza la doppia titolarità.
Si è registrata negli ultimi anni una crescente insofferenza dei sacerdoti pensionati di fronte alla riduzione della rata mensile. Il taglio netto della pensione adombra, infatti, una possibile incostituzionalità della norma impositiva.
Il malumore degli interessati si è concretizzato in un afflusso di ricorsi al Comitato di vigilanza del Fondo speciale dei ministri di culto. Il passaggio dei ricorsi attraverso l'organo dell'Inps è un passo dovuto, secondo la legge, per poter avviare eventuali azioni giudiziarie.
Dopo ben quattro anni di "parcheggio" negli uffici della previdenza, un piccolo numero di questi ricorsi è pervenuto di recente alla decisione del Comitato di vigilanza. Il giudizio dell'organo è stato negativo. Il Comitato ha preso atto che la disposizione contestata dai ricorrenti non è censurabile in via amministrativa, essendo chiaro e vincolante l'articolo di legge richiamato.
Il rigetto dei ricorsi è stato tuttavia adottato con una differenza di rilievo. Il Comitato ha, infatti, distinto i ricorsi dei sacerdoti titolari di altra pensione Inps (vecchiaia o invalidità) da quelli dei sacerdoti titolari di altra pensione Inpdap (ex insegnanti di religione, dipendenti di enti locali ecc.). Mentre per i pensionati "tutto Inps" il rigetto del ricorso è stato netto, per i pensionati Clero e Inpdap il Comitato ha lasciato aperto uno spiraglio offerto da un'analoga vicenda in corso in tutto il pubblico impiego.
Si tratta del controverso divieto di cumulare più indennità integrative speciali (su due retribuzioni o su due pensioni oppure su pensione e stipendio). Sul problema si sono pronunciati sia la Corte dei Conti, con diverse e contrastanti sentenze, sia la Corte costituzionale. La Consulta già nel 1989 (sentenza n. 566) ha affermato che il divieto di cumulo è legittimo e ragionevole solo se è precisato un limite al divieto stesso. Ha invitato quindi il Parlamento ad indicare un livello di reddito (pensioni o stipendi) al disotto del quale il divieto di cumulo non deve essere applicato.
è evidente che il principio indicato dalla Corte Costituzionale va ben oltre il problema dell'indennità integrativa speciale. è ovvio, infatti, che, una volta introdotto nel sistema previdenziale, diventa un criterio valido anche per le altre forme assicurative. Ed è in vista di questa prevedibile evoluzione legislativa che il Comitato Inps ha voluto integrare il rigetto dei ricorsi dei sacerdoti pensionati Clero e pensionati Inpdap con la motivazione "in attesa dell'applicazione della sentenza 566 della Corte Costituzionale".
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