Recentemente ho perso un amico. Lo vado a trovare nel ricordo. Ma ogni volta, immancabilmente, il revenant si esibisce in un'oscenità che non posso dire.
Un giorno disse una certa cosa, una stupidaggine assoluta e dimenticabilissima. Ma ogni volta che penso a lui, niente da fare: mi torna in mente così, mentre la dice.
È davvero ingiusto nei suoi confronti. Era una persona notevole e squisita, ha fatto e detto tante cose belle. Ma per qualche scherzo delle mie sinapsi la prima cosa che vedo è il suo sguardo divertito mentre proferisce la solenne cretinata.
Se capita a lui, mi dico, capiterà a tutti. Saremo tutti ricordati per un particolare irrilevante delle nostre esistenze. Una scarpa sbagliata. Una macchia di pomodoro sulla camicia. Uno scivolone in un giorno di pioggia. Una circostanza senza significato.
Mio padre lo rivedo impalato davanti a un bar. Di mia nonna ricordo una risata. Dell'altra nonna, un tremolio nella voce.
Ricordi funzionali a nostre misteriose necessità e che non fanno giustizia a chi viene ricordato. Le vie d'uscita sono due: confezionare un fatto indimenticabile e imporlo solennemente come ricordo obbligatorio. Altra possibilità, sperare di non essere troppo ricordati. Fare meno rumore possibile, dissolversi come pulviscolo nella grande luce.
Questa mi piace di più.
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