Nel giugno del 2006 scoppiò come una bomba, sul Bollettino della Sala Stampa vaticana, la notizia della pubblicazione del decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede riguardante padre Marcial Maciel Degollado, il potente fondatore dei Legionari di Cristo. In cui si affermava che «i gravissimi e obiettivamente immorali comportamenti di P. Maciel, confermati da testimonianze incontrovertibili, si configurano, talora, in veri delitti e manifestano una vita priva di scrupoli e di autentico sentimento religioso», e che «la condotta di P. Marcial Maciel Degollado ha causato serie conseguenze nella vita e nella struttura della Legione, tali da richiedere un cammino di profonda revisione». Il decreto era stato firmato dallo stesso Benedetto XVI, che avrebbe definito il prete messicano «un falso profeta», con una vita «al di là di ciò che è morale: un'esistenza avventurosa, sprecata, distorta».
Fu, come detto, un fulmine a ciel sereno. Su Maciel erano anni, decenni, che si rincorrevano voci, mai confermate anche, si diceva, per le protezioni di cui godeva all'interno della curia romana. Le stesse, si diceva sempre, che avevano stoppato l'inchiesta che l'allora Prefetto dell'ex Santo Uffizio, Joseph Ratzinger, aveva istruito contro di lui. Una inchiesta che, appena divenuto Papa, aveva fatto portare a termine. Non era, purtroppo, il primo caso di abusi sui minori da parte di ecclesiastici venuto a galla, né sarebbe stato l'ultimo. Ma Maciel fu il primo “pezzo da novanta” a finire sotto la scure dell'intransigenza con cui, senza guardare in faccia nessuno, Papa Ratzinger aveva deciso di affrontare quel gravissimo problema, schierandosi sempre dalla parte delle vittime.
La stessa determinazione con cui il suo successore, Francesco, prosegue in quest'opera per purificare la Chiesa da questo «sconvolgimento gravissimo», come l'ha definito sabato scorso nel videomessaggio ai partecipanti alla Conferenza internazionale sulla salvaguardia dei bambini e degli adulti vulnerabili per le Chiese dell'Europa centrorientale. «Solamente affrontando la verità – ha detto Bergoglio – di questi comportamenti crudeli e ricercando umilmente il perdono delle vittime e dei sopravvissuti, la Chiesa potrà trovare la sua strada per essere di nuovo considerata con fiducia... Non siete i primi ad intraprendere questi passi necessari ed è improbabile che sarete gli ultimi in questi tempi difficili, ma sicuramente non sarete soli».
Per il Papa ora più che mai è indispensabile «ascoltare la chiamata delle vittime e impegnarvi, l'uno con l'altro e con la società in senso più ampio, in queste importanti discussioni poiché toccano veramente il futuro della Chiesa nell'Europa centro-orientale, non solo il futuro della Chiesa, anche il cuore del cristiano, toccano la responsabilità nostra». E aggiunge il Pontefice: «Riconoscere i nostri errori e i nostri fallimenti può farci sentire vulnerabili e fragili, è certo», ma nello stesso tempo «può anche costituire un tempo di splendida grazia, un tempo di svuotamento, che apre nuovi orizzonti di amore e servizio reciproco. Se riconosciamo i nostri errori, non avremo nulla da temere, perché sarà il Signore stesso che ci avrà condotti a quel punto». Sempre dalla parte delle vittime, il cui benessere non può mai essere «messo da parte in favore della malintesa preoccupazione per la reputazione della Chiesa in quanto istituzione».
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