Caro Avvenire, ho letto l’articolo sulle borse di specializzazione medica andate a vuoto sia nelle aree di emergenza sia di microbiologia e virologia. Che cosa dovrebbero dire i biologi specializzandi in microbiologia e virologia che seguono lo stesso corso, lo stesso tirocinio, le stesse lezioni, gli stessi reparti degli specializzandi medici della stessa area, ma a differenza di questi ultimi non percepiscono alcuna borsa? Lavorano gratis mentre i “signori medici” fanno i preziosi e non considerano alcune specialità.
Calogero Agozzino
Caro Agozzino, il tema che lei tocca è importante ma tecnico e complesso. Darne qualche cenno aiuta comunque a capire alcune storture della sanità italiana che rimangono sullo sfondo. Sommate ad altre, danno però l’idea delle difficoltà che il sistema pubblico sta attraversando, soprattutto per mancanza di risorse adeguate, di personale medico e, forse, anche di capacità gestionale.
Come ormai molti sanno, dopo la laurea in medicina (6 anni a ciclo unico), i laureati che vogliono esercitare come cardiologi od oculisti (solo per fare due esempi) sono chiamati a frequentare una scuola di specializzazione di quattro anni (cinque per le chirurgie) a numero programmato, cui si accede per concorso. Gli ammessi sono retribuiti con una borsa mensile che si aggira sui 1.700 euro. Ad alcune scuole di specialità, possono accedere anche “non medici”, laureati con titolo magistrale (5 anni), in particolare i biologi. Questi ultimi svolgono lo stesso percorso di studio e di tirocinio (che vuol dire lavoro in ospedale per almeno due giorni la settimana) dei medici, tuttavia non ricevono alcuna retribuzione.
Ma non è l’unica “stranezza”. I medici di Medicina generale, ovvero i cosiddetti medici di base, da non molto hanno anch’essi l’obbligo di passare attraverso un’ulteriore formazione, organizzata dalle Regioni, che dura tre anni e dà diritto a un’indennità mensile che è circa la metà di quella di tutte le altre scuole di specialità. Non è finita: per diventare psicoterapeuta, ai laureati di psicologia sono richiesti la frequenza di una scuola “privata” (non ce ne sono nelle università) e il lavoro gratuito in strutture accreditate, senza nessun compenso né rimborso spese. Gli specializzandi di biologia hanno svolto un ruolo molto importante nel sostenere l’emergenza Covid, quando analizzare un tampone o condurre i test sierologici era fondamentale, e la mole dei compiti da svolgere in condizioni proibitive era enorme.
Perché i “non medici” che poi sono occupati negli ospedali devono avere un percorso più duro (per sbarcare il lunario nei quattro anni di formazione) dei loro colleghi medici? Gli psicoterapeuti, così necessari tanto che si è pensato di agevolare l’accesso dei pazienti con il bonus psicologo, non hanno gli stessi diritti? E i “medici di famiglia”, elemento fondamentale di una sanità territoriale e preventiva vicina alle persone? Si tratta, va da sé, di perequazioni non epocali, certo non il primo problema del Ssn, ma un certo un tassello che contribuisce (con l’effetto delle condizioni descritte sul reclutamento del personale sanitario) ad aumentare le disfunzioni attuali. Mancano medici di Medicina generale, per esempio.
Il punto, alla fine, potrebbe non essere che si paga qualcuno meno di altri o poco in assoluto. Come sta emergendo in altri settori lavorativi, se non sei valorizzato, se la tua organizzazione comincia a fare acqua, se ti aggrediscono nei pronto soccorso e ti minacciano ovunque, non sarai attirato da quella professione, oppure penserai di lasciare l’ambito pubblico per passare nel privato a praticare medicina estetica o svolgere tranquilli check-up di routine. Esagero un po’, ovvio. Fare il medico dovrebbe rimanere una vocazione altruistica e la sanità italiana resta d’eccellenza per tantissimi professionisti di altissima caratura scientifica e umana e per moltissime strutture benissimo condotte per managerialità e vicinanza ai pazienti.
Dobbiamo preservare tutto questo, e migliorarlo in quelle regioni che, per vari motivi, patiscono di servizi inadeguati, a causa di lunghe attese o
della stessa qualità delle prestazioni. Recentemente, molti appelli accorati sono stati lanciati a questo scopo da luminari che il mondo ci invidia. Fare in modo che siano ascoltati è un compito di Parlamento e governo. Ma anche di tutti coloro che hanno responsabilità nell’ambito della sanità.
“Avvenire” non mancherà di continuare a vigilare e a dare conto di casi virtuosi come di tutto ciò che non funziona. A partire dalle disparità di trattamento che lei, caro Agozzino, ci ha ricordato.
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