Nell’esperienza che facciamo della vita c’è la rapidità e c’è la lentezza. Ed esse coesistono in noi come realtà non necessariamente opposte, ma come l’argilla dove la vita è chiamata a scoprire la propria forma. Per capirlo, però, abbiamo bisogno di sapienza spirituale. Dobbiamo imparare ad affrontare quel che è rapido con cuore distaccato e, soprattutto, grato. La rapidità di tutto ciò che vorremmo vedere prolungarsi, ma così non avviene. La rapidità di un azzurro senza crepe. La rapidità della leggerezza. La rapidità dell’applauso. La rapidità dello stupore e del fascino. La rapidità dell’armonia senza turbamenti. La rapidità del puro incanto e della delizia pura. La rapidità di quel sentimento che a volte sperimentiamo quando vediamo che tutto è al posto giusto. La rapidità della musica di quella perfezione che fa risplendere all’unisono tutti gli esseri e le cose. Ma dobbiamo anche imparare a ringraziare per ciò che è lento. La lentezza delle attese più esigenti, la lentezza del costruirsi, la lentezza della contrarietà, la lentezza dei processi di cui non si vede subito l’esito, la lentezza delle domande che non trovano risposta immediata, la lentezza del dubbio che trafigge la sera, la lentezza della fatica, la lentezza del vuoto, la lentezza che pesa nelle mani, la lentezza della malattia, la lentezza della solitudine, la lentezza del lutto, la lentezza dei cammini che si snodano pieni di curve.
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