«È morto per una pasta. Ha beccato quella marcia, tagliata male». Finisce così l’esistenza del diciottenne Mirco Masi nella serie Vivere non è un gioco da ragazzi, prodotta da Rai Fiction in collaborazione con Picomedia di Roberto Sessa (Mare fuori), con la sceneggiatura di Fabio Bonifacci, che ha adattato il suo romanzo Il giro della verità, e la regia di Rolando Ravello, in onda in tre serate il lunedì su Rai 1, ma già interamente disponibile in sei episodi su RaiPlay. Nella morte di Mirco è coinvolto Lele (Riccardo De Rinaldis Santorelli), il protagonista principale della vicenda, che ha venduto la pasticca di droga all’amico pur non essendo uno spacciatore. È finito nel giro per amore di una compagna di classe. Per uscire con lei, Lele sperimenta le droghe e inizia a vendere una «pasta» a settimana perché non ha i soldi per le serate. Un gesto percepito come innocente (che sicuramente accade anche nella realtà) spezza una giovane vita e un’altra resta schiacciata sotto il peso della colpa. Ma la droga, dalla quale la fiction mette decisamente e giustamente in guardia, è di fatto un pretesto per raccontare il disagio di tante famiglie, l’incomprensione tra genitori e figli, ma anche tra marito e moglie, la fuga da se stessi. In parte le cose si potranno anche ricomporre nell’accettazione di come si è, con i propri scheletri negli armadi, ma soprattutto si possono ricomporre nel nome della verità, il più delle volte scomoda se non addirittura dolorosa. È un quadro disincantato, a tinte forti, quello che propone la fiction di Rai 1 con Stefano Fresi e Nicole Grimaudo (i genitori di Lele) per dire che la vita non è esattamente un gioco da ragazzi. Solo il personaggio di Claudio Bisio, il poliziotto Saguatti, stempera un po’ la tensione in una vicenda che viaggia su toni drammatici sia pure con qualche barlume di speranza.
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