«Qui giace Raffaello, dal quale la natura temette mentre era vivo di essere vinta; ma ora che è morto teme di morire». Sono le parole di Pietro Bembo sulla tomba del grande Urbinate nel Pantheon di Roma. Le stesse recitate da un attore che interpreta il cardinale scrittore e poi ribadite da Antonio Paolucci a conclusione del pregevole docufilm Raffaello. Il Principe delle arti (domenica sera in prima tv su Sky Cinema Uno e Sky Arte HD), prodotto da Sky in collaborazione con i Musei Vaticani e Magnitudo Film per la regia di Luca Viotto. «Un elogio più bello di quello di Bembo alla grandezza di Raffaello non poteva essere fatto», dice l'ex direttore dei Musei Vaticani che per tanti anni ha vissuto in mezzo ai capolavori di un artista che si formò nella città natale di Urbino, si plasmò a Firenze e si consacrò a Roma diventando il “Principe delle arti”. A Urbino, il primo maestro fu suo padre, Giovanni Santi, per molto tempo ritenuto un minore. Il film gli rende giustizia iniziando con dei tagli di luce su un affresco di fronte al quale Raffaello, impersonato da Flavio Parenti, afferma di essersi sempre nutrito di bellezza, ma «nulla vale per me quanto questa Madonna realizzata da mio padre». A Firenze, invece, la fonte di ispirazione sarà la Cappella Brancacci, affrescata da Masolino e Masaccio, definita dallo storico dell'arte Antonio Natali il «Santuario dell'arte occidentale», luogo ideale per raccontare i formidabili anni di una città che vide insieme Michelangelo, Leonardo e Raffaello. Anche a Roma la formazione avviene sul campo. La narrazione filmica, intervallata da appassionate digressioni artistiche con immagini spettacolari dei dipinti, ci ripropone la storia del Bramante che di nascosto consegna a Raffaello le chiavi della Cappella dove sta lavorando Michelangelo. Suggestiva in proposito la ricostruzione virtuale della Sistina con gli affreschi del Perugino sulla parete di fondo prima che il Buonarroti vi dipingesse il Giudizio Universale. Nell'insieme il film offre una grande opportunità per conoscere il genio di un uomo vissuto appena 37 anni, che i biografi vogliono nato e morto nello stesso giorno e alla stessa ora: alle 3 di notte del 6 aprile, che era un Venerdì santo sia nel 1483 che nel 1520. Si dice anche che gli ultimi istanti della vita cosciente Raffaello li abbia passati a dipingere il volto del Cristo trasfigurato.
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