Non ho potuto, due giorni fa, prender parte al convegno della Cattolica sugli intellettuali organizzato dall'ottimo Lupo, per motivi di salute (l'età pesa...). Avevo preso degli appunti ed ecco in estrema sintesi e senza lo spazio, qui, per un ragionamento più preciso e motivato, cosa avrei detto con la mia consueta superficialità. Avrei detto che gli intellettuali non sono mai stati tanti come oggi, ben più che in ogni altra epoca storica recente, e onnipresenti in quanto "addetti alla cultura" (la ricerca, l'insegnamento di ogni ordine e grado, le arti, la comunicazione, eccetera). Non sono mai stati una categoria così massiccia e che potrebbe avere un'importanza fondamentale nel miglioramento di una società, e che però non è mai stata altrettanto fiacca e, quando non superflua, altrettanto soggetta ai voleri di un sistema sempre più negativo e nefasto, sempre più subdolo e sempre più distruttivo. Avrei detto dello spazio che questo sistema ci riserva, e che è a esso indispensabile per dominare e per espandersi. Le tante dichiarazioni di indipendenza degli intellettuali che si continuano a leggere mi appaiono risibili, ché non è più vero che «penso dunque sono», è vero che «penso quel che al potere non disturba che io pensi», anche perché le ricerche intellettuali e scientifiche - in chi ancora ne fa - obbediscono alle committenze e alle logiche del potere (al potere del denaro e della politica... al Potere) e ne accettano ogni indicazione pur ostinandosi a fingere autonomia, a non guardare in faccia la collocazione che ci è riservata, l'uso che viene fatto della nostra mediazione. Le conoscenze e le competenze ben raramente servono a tenere accesa l'intelligenza delle cose o a comunicare, per esempio alle nuove generazioni ma non solo, quelle conoscenze e quella visione che sarebbero utili, anzi indispensabili, ad affrontare la società così come essa è diventata, a farle cambiare strada. Si pensa e si scrive senza mai chiedersi se questo, oggi, serve davvero a qualcosa, se è davvero sufficiente. Si dice nella Bibbia che il Verbo si fece Carne. È vero Verbo, un Verbo che non si fa Carne? Prigionieri tutti di una sorta di voluttà dell'inazione, prigionieri tutti di una "società dello spettacolo" che, magari gratificandoci, trasforma ogni nostra riflessione in merce, in intrattenimento, in diversivo, in consolatorio e in auto-consolatorio, e non tanto in superfluo quanto in utile ai padroni della terra, a chi sta al comando, a chi dirige, a chi tratta bene i suoi servi e mortifica e uccide la natura, mortifica e uccide la nostra intelligenza con gli artifizi di quel che chiama cultura e comunicazione. In definitiva, le nostre sono chiacchiere e opere che incidono sulla realtà soltanto nel senso della riaffermazione del potere distruttivo di pochi su tutti, sulla stessa natura. Noi che amiamo dirci intellettuali siamo né più né meno che servi e complici del potere, se non riusciamo a praticare nessuna forma di azione positiva per reagirvi, per resistergli. Avrei detto, l'altro ieri, che è da tempo l'ora di svegliarci e di cambiar strada, se pure non è già troppo tardi.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: