«Ieri, proprio da Bucha mi hanno portato questa bandiera» ha detto il Papa mercoledì in Udienza, e si è alzato, a mostrarla nella sua interezza. «Viene dalla guerra – ha aggiunto –, proprio da quella città martoriata, Bucha». E l'ha allargata fra le braccia perché si vedesse bene, la bandiera ucraina, così scolorita. Perché è blu cielo e giallo sole l'emblema di Kiev, ma quella arrivata a Francesco era sbiadita nell'azzurro, e spenta nel giallo. Come fosse stata lungamente esposta a una finestra, mentre le bombe cadevano e le raffiche di proiettili crepitavano; come se il sole e la pioggia e la polvere l'avessero invecchiata. (Erano forse così le antiche bandiere sventolanti sulle torri delle città assediate?). Questa che il Papa offre al mondo allargando le braccia, stazzonata, marchiata di scritte, sporca, è proprio una sfinita bandiera. Come la città di Bucha e la sua gente uccisa, insepolta o sepolta in fosse comuni, e infine come ultimo affronto negata: «Non siamo stati noi, è una messinscena». Ci sono gesti che valgono più di molte parole. Quell'alzare di Francesco il blu e il giallo di Bucha non ha bisogno di traduzione. Dall'Africa alla Cina, dall'America alla Russia, chi ha visto ha capito: il Papa sta con le vittime. Poi, salutati i bambini ucraini, Francesco ha rapidamente, quasi devotamente baciato la bandiera ripiegata. Come si fa con la reliquia di un santo, o di un martire. O di una città martoriata.
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